Nel 1505 Alfonso I d’Este divenne Duca e commissionò uno straordinario codice miniato detto “Offiziolo Alfonsino” o il “Libro d’ore di Alfonso I”, la realizzazione dell’opera si pone in continuità con i suoi predecessori che avevano lasciato capolavori come la Bibbia di Borso e il Breviario di Ercole I. L’esecuzione del codice è databile probabilmente tra il 1505 e il 1510-12 ed è frutto della maestria del miniatore di corte Matteo da Milano, il quale aveva precedentemente lavorato proprio al Breviario di Ercole I.
A seguito della Devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio (1598) il codice fu trasferito a Modena, dove vi rimase fino all’Ottocento quando venne allontanato una prima volta per proteggerlo dall’invasione napoleonica e successivamente nel 1859 al momento dell’abbandono definitivo di Modena da parte degli Estensi: il codice seguì le sorti di Francesco V costretto all’esilio prima al castello del Catajo (Padova) e poi a Vienna. Prima del 1870 all’Offiziolo furono asportate quattordici miniature a piena pagina le quali sono attualmente conservate presso la Strossmayerova Galerija di Zagabria, mentre il codice si trova al Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona. Dopo la Prima Guerra Mondiale fu venduto sul mercato antiquario dalla duchessa Zita di Borbone-Parma, vedova dell’Imperatore Carlo I, al collezionista armeno Calouste Gulbenkian.
Il codice è il libro privato di preghiere del Duca, le prime pagine sono dedicate al calendario romano con l’indicazione dei Santi, delle feste liturgiche e con consigli pratici sull’alimentazione e sulla salute. Successivamente si sviluppa la parte più devozionale, quella della Liturgia delle Ore, che determina i tempi e i momenti dedicati alla preghiera durante la giornata.
La prima pagina miniata mette in risalto la figura del Duca: nella parte superiore è rappresentata la più famosa delle sue imprese e cioè la granata svampante, la cornice con fondo oro è un tripudio di fiori colorati, uccelli, fragoline, perle, gemme e cammei. Al centro il Duca è ritratto in armatura con il volto barbuto e segnato dalla stanchezza rivolto in preghiera verso Dio che appare sopra di lui. Dalla parte opposta sono inseriti i suoi titoli in caratteri d’oro su fondo blu “AL (FONSUS) DUX FERRARIAE III”. Il testo che accompagna l’immagine è la richiesta del fedele di non essere abbandonato nelle avversità dal Signore e di venire preservato dai malvagi. Il significato di tale supplica può nascondere un’allusione alle tensioni in atto con lo Stato Pontificio, le quali impegnarono duramente Alfonso durante tutto il suo governo. La pagina si chiude con l’insegna degli Este posta tra due fantasiose figure fitomorfe.
Le miniature a piena pagina sono concepite come opere a sé stanti: la composizione e la qualità pittorica fanno di questi fogli dei veri e propri capolavori. Tra i più incisivi è da menzionare quello raffigurante “La Morte che afferra un Papa” che tratta il delicato tema degli scontri tra Alfonso I e il Pontefice. La Morte, personificata da uno scheletro con arco, frecce e con una lunghissima falce, è intenta a mietere vittime ed è raffigurata proprio nel momento in cui riesce ad appoggiare una mano sulla spalla del Pontefice. Quest’ultimo, rappresentato di profilo, volge lo sguardo alla Morte ed è ritratto con la barba: ciò potrebbe alludere a quella che il Pontefice Giulio II si era fatto crescere come voto dall’ottobre del 1510. Anche la scritta “Vide quanta sunt selera” (vedi quanti sono i crimini) che si legge sul libro aperto in mano al Diavolo viene interpretata come una nota di ostilità nei confronti di Giulio II. A quel tempo il Pontefice aveva già scomunicato Alfonso, interdetto Ferrara e guidava personalmente le truppe ecclesiastiche nelle battaglie contro il Ducato, solo la morte avvenuta nel febbraio del 1513 riuscì a fermare la sua avanzata.
Il Libro d’Ore commissionato dal Duca Alfonso I può essere considerato l’ultimo capolavoro della miniatura estense che non sarà più in grado di eguagliare le opere straordinarie eseguite precedentemente.