PERSONAGGI

Alfonso I d’Este

A cura di

Federica Fanti

Alfonso I d’Este

Biografia

Alfonso I d’Este nasce a Ferrara il 21 luglio 1476, figlio di Ercole I d’Este ed Eleonora d’Aragona e fratello di Ippolito, Giulio, Ferrante e Isabella.

Si sposa due volte per tessere alleanze con altre importanti famiglie: prima con Anna Maria Sforza e poi con Lucrezia Borgia, con la quale ha due figli, l’erede Ercole II e il futuro cardinale Ippolito I. Proclamato Duca di Ferrara alla morte del padre, nel 1505, affronta e governa uno dei periodi più irrequieti della storia della sua casata e di tutto il territorio a nord dello Stato Pontificio, ad iniziare dalla guerra contro Venezia. Una guerra in cui la vittoria di Alfonso a Polesella, ottenuta con una leggendaria impresa del suo esercito di terra contro la fortissima flotta veneziana, risulterà poi decisiva ai fini della soluzione finale in favore della Lega di Cambrai guidata da Papa Giulio II e di cui faceva parte anche Ferrara. Questa alleanza non è però bastata ad evitare che tra Giulio II e Alfonso I si creasse una sorta di guerra personale, sfociata con la scomunica e la perdita di vari territori. Una schermaglia che si conclude solo dopo la morte del Papa e l’arrivo del suo successore, Leone X. Ma il rapporto tra Alfonso I e la Santa Sede resta complicato, tanto che lo stesso pontefice, come il suo predecessore e anche il suo successore, scomunica Alfonso. Nonostante questo, grazie alle sue doti militari, unite all’ingegno con cui costruisce egli stesso nuovi pezzi di artiglieria e alle strategie politiche che riesce a mettere in campo, Alfonso I riesce comunque a mantenere la casata degli Este al potere (a lui succederà il figlio Ercole), ma soprattutto contribuisce ad accrescerne il prestigio attraverso le opere artistiche, da Tiziano a Battista e Dosso Dossi, passando per le opere letterarie come l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, fino a quelle architettoniche, di cui resta traccia ancora oggi nelle sue splendide “Delizie”, castelli e fortificazioni. 

La vita: la famiglia e i matrimoni di interesse

Alfonso I nasce a Ferrara il 21 luglio 1476, terzogenito di Ercole I d’Este ed Eleonora d’Aragona. Il suo nome, nuovo nella genealogia estense, viene scelto per commemorare il bisnonno materno Alfonso V d’Aragona. Inusuale è anche la sua mancata propensione allo studio delle lettere e della musica, come i canoni di corte prevedevano, preferendovi l’esercizio fisico e le arti meccaniche, eccellendo nelle attività manuali (da qui il soprannome di “principe artigiano”) come la lavorazione del legno, della ceramica e del metallo. Quest’ultimo è il campo che gli ha dato maggiori soddisfazioni: con intuito e straordinario ingegno Alfonso ha infatti creato e modificato strumenti bellici, che saranno fondamentali durante le numerose battaglie di cui sarà protagonista.

Da queste sue propensioni, assai diverse rispetto a quelle dei suoi predecessori, Alfonso si è posto come un nuovo tipo di aristocratico con uno stile di vita dimesso e poco appariscente. Ma non per questo distaccato dagli “oneri” di corte. Il padre Ercole, infatti, con lo scopo di consolidare i buoni rapporti tra le casate e soprattutto frenare l’espansione Veneziana, aveva firmato con il Duca di Milano il contratto di matrimonio con la figlia Anna Maria Sforza, già al compimento del primo anno di Alfonso, il 21 luglio 1477. Tre anni più tardi il legame con gli Sforza viene nuovamente rinsaldato con le promesse matrimoniali tra la sorella di Alfonso, Beatrice, e Ludovico il Moro.

Un’infanzia, dunque, segnata dalle continue evoluzioni politiche e sociali degli Este. Il 1482, a tal proposito, fu un anno particolarmente turbolento: Alfonso e i suoi fratelli furono costretti a lasciare Ferrara, minacciata sia dalla guerra con Venezia che dalla peste, e a trasferirsi nella città di Modena dove rimasero per due anni.

Tornato a Ferrara e raggiunta la maggiore età, il futuro Duca si sposa, il matrimonio viene celebrato a Milano – come previsto fin dalla tenera età – il 23 gennaio 1491. Alfonso I e Anna Maria Sforza rinnovano in seguito i loro voti anche a Ferrara nella Cappella Ducale, alla presenza dei numerosi ambasciatori provenienti da tutta Italia. Purtroppo questa unione dura solo pochi anni e non lascia eredi: Anna muore il 2 dicembre 1497, durante il parto, probabilmente per le complicazioni della sifilide contratta dal marito, e anche la bambina che portava in grembo non sopravvive.

Come prassi del tempo, le trattative per un nuovo matrimonio iniziarono poco dopo e come per il precedente, anche questa volta fu il padre Ercole a condurre la contrattazione e a persuadere Alfonso ad accettare il matrimonio con Lucrezia Borgia. Era la figlia di Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, una garanzia di buoni rapporti con la Chiesa, quindi, foriera di una magnifica dote di più di 100.000 ducati d’oro per le casse dello Stato, comprese le terre di Cento e di Pieve di Cento, oltre al riconoscimento ab perpetuo della successione del Ducato di Ferrara a tutti i discendenti maschi. 

Il matrimonio avvenne per procura il 29 o il 30 dicembre 1501 e a rappresentare lo sposo fu mandato il fratello di Alfonso, don Ferrante. Dopo pochi giorni Lucrezia partì per raggiungere la sua nuova città, dove arriverà solo un mese più tardi dopo un lungo e faticoso viaggio. Al suo arrivo la città di Ferrara era in festa, pronta ad accogliere la nuova principessa: le feste e i banchetti in suo onore sono grandiosi e i festeggiamenti durano ben otto giorni. L’unione tra Alfonso e Lucrezia fu molto solida, con la dama di casa Borgia rivelatasi all’altezza degli impegni di corte. Inoltre, Lucrezia diede alla luce l’erede maschio tanto sperato per le sorti del Ducato: Ercole nasce il 4 aprile 1508, tra grandi festeggiamenti sia a Ferrara che a Modena. Il 25 agosto 1509 nasce anche Ippolito, destinato come l’omonimo zio a diventare Cardinale. 

Purtroppo la morte di Alessandro VI, avvenuta nel 1503, interrompe la tranquillità politica e mette fine ai numerosi benefici che l’unione con Lucrezia avrebbe potuto portare a Ferrara e al potere estense. Nello stesso anno, Ludovico Ariosto si mette al servizio di Ippolito d’Este, fratello di Alfonso.

I primi anni da Duca: la discontinuità rispetto al padre

Tra la fine del 1504 e il 1505 le condizioni di salute del Duca Ercole peggiorano a tal punto che Alfonso, per rispetto al padre, vietò i festeggiamenti del carnevale. La morte di Ercole, secondo Duca di Ferrara, Modena e Reggio, sopraggiunse il 25 gennaio 1505 e, dopo appena quattro ore, Alfonso fu prontamente proclamato Duca. La sua figura schiva e riservata, dedita ad attività manuali reputate minori e poco adeguate alla figura di un Principe prima e di un Duca poi, lo avevano reso impopolare e le voci lo indicavano del tutto incapace di governare. Ma Alfonso, forse proprio per dimostrare le sue qualità, seppe reggere con tenacia il suo Stato in uno dei periodi di massima instabilità politica, che riguardava l’intera penisola.

Come primi atti del suo governo, il nuovo Duca si impegnò ad eliminare i pesanti dazi imposti dal padre per fronteggiare le spese militari ed edilizie. Non solo, acquistò grano da Venezia distribuendolo ai bisognosi per combattere l’enorme carestia che stava affamando lo Stato, fronteggiando anche un’epidemia che fece migliaia di morti. 

La cospirazione sventata di Giulio e Ferrante

Più che dai nemici esterni, il neo Duca dovette guardarsi dall’astio dei propri familiari, in particolare dei fratelli Giulio e Ferrante, dei quali invece aveva grande stima. Un episodio accaduto nei prati circostanti la Delizia di Belriguardo racconta di questi complicati rapporti. Qui don Giulio aveva incrociato la strada al Cardinale Ippolito, che era insieme ai suoi uomini. Questi ultimi, pare dietro esortazione del loro padrone, lo attaccarono, colpendolo ferocemente agli occhi e lasciandolo in fin di vita. Il Duca Alfonso, venuto a conoscenza dell’accaduto, andò su tutte le furie per la violenza commessa dal fratello, cosicché il Cardinale fu costretto a ritirarsi per un po’ di tempo, prima a Mirandola e poi a Mantova dalla sorella Isabella. Giulio, intanto, fu curato dai migliori medici di Ferrara e alloggiò al castello in una stanza buia per non offendere gli occhi, che non guarirono mai totalmente. Alfonso, però, non ebbe il coraggio di usare il pugno duro contro Ippolito (che divenne poi il suo braccio destro e fedele consigliere) e chiese la loro riconciliazione.

Forse per vendicarsi di Ippolito e della troppa benevolenza di Alfonso, quando le sue condizioni di salute migliorarono, Giulio, d’accordo con Ferrante, progettò di uccidere i due fratelli. A loro si unirono alcuni feudatari e servitori ostili ad Alfonso. Ma già da tempo Ippolito stava facendo sorvegliare i due fratelli e ben presto scoprì la trama della congiura che stavano architettando: quando il Duca rientrò a Ferrara dopo un viaggio durato vari mesi, gli venne esposta la delicata situazione e subito iniziarono gli interrogatori. Il processo accertò la responsabilità di tutti i cospiratori e Alfonso colpito negli affetti più cari non fece segreto del suo dolore. Tutti vennero condannati alla prigione, anche Ferrante e Giulio, che furono però trattati con un occhio di riguardo, soprattutto dopo i primi anni di detenzione. Ferrante morì in cella nel 1540, mentre Giulio fu graziato nel 1559 dal nipote Alfonso II.

La Lega di Cambrai e la vittoria di Polesella

La prima grande operazione politico-militare del Duca fu determinata dall’alleanza, guidata dalla Santa Chiesa, contro Venezia. Alfonso aderì infatti alla Lega di Cambrai, di cui facevano anche parte Massimiliano I d’Asburgo (Imperatore del Sacro Romano Impero), Luigi XII (Re di Francia, Duca d’Orléans), Ferdinando II d’Aragona (Re di Napoli e Re di Sicilia), Carlo II (Duca di Savoia), Francesco II Gonzaga (Marchese di Mantova) e Ladislao II (Re d’Ungheria) guidati da Papa Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere. Alfonso venne nominato Gonfaloniere della Santa Chiesa nel 1509 e con tale onorificenza si preparò alla guerra che iniziò il 27 aprile con la scomunica su Venezia. Dopo le numerose vittorie della Lega, Alfonso riuscì a riconquistare i territori del Polesine e di Rovigo, perduti nel 1482. A luglio Padova ritornò in possesso dei veneziani e in seguito, a complicare le cose, le truppe veneziane catturarono Francesco Gonzaga, marito di Isabella d’Este, incarcerandolo. Colpito quindi sul fronte militare e personale, Alfonso si impegnò ancora più a fondo in questa guerra, riportando alcune delle vittorie più importanti e decisive della storia, tra cui quella di Polesella. Una battaglia condotta senza il supporto né del Papa né degli altri alleati della Lega di Cambrai. Questa vittoria viene ancora oggi celebrata nei libri di strategia militare perché l’esercito estense riuscì nell’impresa di sottomettere la quasi imbattibile flotta veneziana. Dopo un lungo assedio e dolorose battaglie, Alfonso trovò nel maltempo un alleato inaspettato, che seppe però sfruttare al meglio: a dicembre le abbondanti piogge avevano ingrossato il Po e le imbarcazioni veneziane che sostavano in attesa della battaglia, si erano alzate seguendo la crescita delle acque fino quasi agli argini, così da scoprire i fianchi ed essere vulnerabili. Le truppe estensi guadagnarono subito una posizione strategica, facendo giungere in tutta fretta e segretamente da Ferrara l’artiglieria: nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 1509 Ippolito restò da solo al comando delle truppe e ordinò l’attacco alla flotta veneziana, distruggendola quasi totalmente (vedi B. Dossi, Ritratto di Alfonso I d’Este con l’ordine di San Michele, 1530-1540, Galleria Estense, Modena – alle spalle del Duca è dipinta la battaglia di Polesella). I complimenti e la stima per il Cardinale furono unanimi, ma anche le congratulazioni per l’eccellente ingegneria militare del Duca. A coronamento di questo memorabile successo i due fratelli vittoriosi entrano in una Ferrara a festa, navigando sulla più bella delle galere sottratte a Venezia, ultimi di un lungo corteo che dal porto sfila fino al Duomo, dove fu celebrata la messa di ringraziamento.

Battista Dossi, “Ritratto del duca Alfonso I d’Este”, particolare con la battaglia di Polesella, 1530-1540 circa olio su tela, 147 x 113,5 cm, Galleria Estense, Modena.
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7832558

Il rapporto con la Chiesa: la “guerra personale” con Giulio II

Alfonso I ebbe sempre un rapporto difficile con la Santa Chiesa, più per questioni personali che per mire espansionistiche del proprio regno. Nonostante avesse partecipato alla guerra contro Venezia nella Lega di Cambrai e si fosse dimostrato un ottimo condottiero e stratega militare, Giulio II non riuscì a considerarlo uno dei suoi veri alleati, soprattutto per la fedeltà del Duca al Re di Francia. Fu questo il motivo iniziale che decretò la rottura tra il Pontefice e il Duca: il Papa, infatti, dopo aver assolto Venezia dalla scomunica (1510) aveva ampliato la sua visione politica, ponendosi come primo obiettivo quello di limitare il controllo francese in Italia, iniziando proprio dai suoi alleati, quindi anche il Duca di Ferrara; questi, dal canto suo, non cessò affatto di combattere contro Venezia per conquistarne nuovi territori, nonostante la nuova posizione papale. A questo punto il Papa dovette intervenire direttamente, imponendo la cessazione delle ostilità contro Venezia e anche l’abbandono immediato dell’alleanza con Luigi XII, pena la scomunica. Alfonso non arretrò dalla sua posizione e il 9 agosto 1510 venne scomunicato, con l’aggravio della decadenza del trono e dei suoi feudi ecclesiastici, compresa Ferrara, e la privazione del Gonfalonierato della Chiesa (prontamente conferito a Francesco Gonzaga). Subito dopo, Modena si consegnò alle forze papali senza nemmeno lottare (la sua riconquista caratterizzerà poi tutta la vita di Alfonso), così come il Polesine tornò sotto il controllo Veneziano. La guerra continuò tra alterne fortune – da ricordare la vittoria di Bastia dove il Duca diede dimostrazione di grandissimo coraggio e del suo valore militare – e dopo quasi due anni di sanguinose battaglie e di accordi sfiorati, Alfonso raggiunse Roma per chiedere al Papa l’assoluzione dalle molteplici colpe commesse ai danni della Chiesa, in modo da essere assolto dalla scomunica. La richiesta di Alfonso dovette passare però al vaglio anche della commissione cardinalizia, e questo avrebbe richiesto molto tempo. Così Alfonso, obbligato a restare a Roma, si trovò a trascorrere le giornate vagando per palazzi e raccolte ecclesiastiche di oggetti d’arte. Fu in questa occasione che l’11 luglio 1512 conobbe Michelangelo mentre era intento a dipingere la Cappella Sistina e restò estasiato dalla sua arte, insistendo per avere una sua opera. 

Nel frattempo, la richiesta avanzata al Papa andò avanti, ma alla supplica di Alfonso Giulio II avanzò pretese insostenibili per il Ducato. Immediatamente apparve chiaro che il Papa non aveva alcuna intenzione di accordarsi con Alfonso, la cui ulteriore permanenza a Roma poneva in pericolo la sua stessa vita. Con il prezioso aiuto dei Colonna, Alfonso fuggì dalla città: cambiato d’abiti e irriconoscibile riuscì a lasciare Roma e sempre sotto mentite spoglie iniziò il suo arduo viaggio verso Ferrara. Il conflitto con Giulio II ormai aveva travalicato il confine politico ed era diventato personale. Nel frattempo la situazione per Ferrara divenne difficilissima: ormai dichiaratamente nelle mire di un furioso Giulio II, lo Stato in assenza del Duca era guidato da Ippolito che pur perdendo altri territori, continuò strenuamente a difenderlo, proseguendo nelle opere di fortificazione delle mura e arrivando a vendere i gioielli estensi per pagare le spese militari. Proprio per impedire alle truppe nemiche di marciare via terra verso Ferrara, Ippolito dovette dare l’ordine di rompere gli argini del Po, per allagare le campagne. Nonostante questo, la popolazione, ormai stremata, continuò a mantenersi fedele verso gli Este e ripose tutte le speranze nell’amato Cardinale e nell’auspicato ritorno del Duca Alfonso. Cosa che avvenne il 14 ottobre 1512: il Duca, dopo più di tre mesi vissuti da fuggiasco, entrò nel giardino del Castello Estense scatenando la gioia dei ferraresi. Le campane della città risuonarono a festa e il popolo accorse per vederlo e acclamarlo. Alfonso si mise subito al lavoro per la città e i suoi possedimenti. Occorreva difenderli e prepararsi probabilmente ad altre battaglie. La svolta arrivò pochi mesi dopo, quando nella notte tra il 20 e il 21 febbraio del 1513 morì il suo nemico, Giulio II. La storiografia tramanda che nemmeno sul letto di morte il Papa depose le ostilità contro Alfonso, rimettendo la questione al suo successore.

Raffaello Sanzio, “Ritratto di Giulio II”, 1511, olio su tela, 108,7 x 80 cm, National Gallery, Londra. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=100865

Un nuovo Papa, una nuova scomunica: Leone X

Come successore di Giulio II fu eletto con il nome di Leone X il cardinale Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. La notizia fu accolta a Ferrara con festeggiamenti, in quanto si auspicava potesse essere un Papa amico degli Este, dato il forte legame che lo univa ai Gonzaga. Effettivamente il nuovo Papa sospese subito l’interdetto e la scomunica calata sul Duca, sulla famiglia e su tutti i sudditi. Forte di questa buona notizia, Alfonso decise di andare a conoscere Leone X di persona, anche per risolvere le importanti questioni riguardanti i suoi possedimenti: la restituzione delle saline di Comacchio (con la clausola che il Duca poteva trarne il sale necessario al sostentamento di Ferrara) e la riconsegna della città di Reggio che per la Chiesa non era mai appartenuta alla Casa d’Este. Le trattative iniziarono tra colloqui e pranzi amichevoli, che facevano ben sperare Alfonso. Una speranza vana, visto che anche questo Papa non si rivelò di certo un amico, né un interlocutore troppo leale nei confronti del Duca. Si arrivò in effetti alla stipula di un patto. Questo prevedeva: l’esclusione delle saline di Comacchio dalle possessioni estensi, solo la promessa di concludere il prima possibile la questione di Reggio e la restituzione del titolo di Gonfaloniere della Chiesa. Alfonso fece quindi rientro a Ferrara a mani quasi vuote: in una c’era la perdita delle Saline di Comacchio e nell’altra solo promesse.

Raffaello Sanzio, “Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi”, 1517-1518, tempera su tavola, cm 155,2 x 118,9, Galleria degli Uffizi, Firenze. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=157703

Nemmeno la politica neutrale con francesi e veneziani diede buoni frutti: il colpo di scena avvenne quando l’imperatore Carlo V cedette al Papa la città di Modena dietro il corrispettivo di 40.000 ducati e Leone X ne promise la restituzione al Duca di Ferrara dietro pagamento della stessa cifra. Non fu l’unico colpo basso inferto dal pontefice nei confronti di Alfonso: tra le altre cose, strinse infatti un’alleanza segreta con Ferdinando il Cattolico, mentre in Francia Francesco I succedeva a Luigi XII, mettendo tra le sue priorità il recupero del Ducato di Milano. E così fu: dopo battaglie e assedi il Re francese prese di nuovo possesso di Milano e il Papa, spaventato da un ulteriore espansione francese in Italia, trattò subito per un accordo. Alfonso aveva combattuto come alleato a fianco di Francesco I e per questo sperava che nelle richieste avanzate ci fossero anche i suoi territori, come poi accadde: il Re impose a Leone X la restituzione di Modena e Reggio al Duca, dietro il pagamento di una cospicua somma. Per Alfonso fu una vittoria più politica che militare, ma non sarà questa la parola fine al tormentato rapporto tra il Papa e il Duca.

Fu in questi giorni difficili per le sorti del Ducato che Alfonso trovò sollievo nelle arti e, in particolare, nella visione del “Festino degli Dei” di Giovanni Bellini, o nelle altre opere di cui si stava circondando: infatti a partire dal secondo decennio del XVI fu avviata una vasta attività artistica che sarebbe proseguita fino alla fine del suo regno. Dosso Dossi diventa il pittore di corte ufficiale e in campo architettonico Biagio Rossetti viene incaricato di progettare la delizia del Belvedere, realizzata a partire dall’estate del 1513, mentre continuavano i lavori di ristrutturazione della cinta muraria cittadina e dei baluardi difensivi. Tra questi è da ricordare la costruzione della “Montagna”, un sistema difensivo dominato da un’altura artificiale in corrispondenza dell’antico Borgo di Sotto. Di altro genere furono gli interventi su via Coperta che nella realizzazione dei famosi “Camerini d’Alabastro” creano uno spazio per le collezioni d’arte del Duca. Nel 1516 Ariosto pubblica “Orlando Furioso” dedicato al Cardinale Ippolito (seconda edizione febbraio 1521 – terza edizione ottobre 1532). Nello stesso anno viene commissionata a Fra Bartolomeo “La Festa di Venere”, il suo primo soggetto non religioso, della quale ci resta solo il disegno preparatorio, opera destinata proprio ad uno dei Camerini. A Tiziano venne fornito il disegno che l’artista stravolse nella composizione. La tela terminata, oggi al Museo del Prado, arriva a Ferrara nel 1519 e Tiziano decise di presiedere personalmente alla messa in opera.

Nel 1516 esce la prima edizione dell’ “Orlando Furioso” scritto da Ludovico Ariosto e dedicato a Ippolito I d’Este, qui una copia del 1551. Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione. In uso per gentile concessione della Biblioteca Comunale Ariostea.

Le relazioni con lo Stato Pontificio si confermano per gli Este difficoltose, infatti nemmeno il fratello Cardinale riesce a costruire un buon rapporto con Leone X. A causa di queste divergenze, Ippolito ritenette più saggio confermare la propria nomina a Vescovo di Buda, in Ungheria, dove risiederà per un lungo periodo insieme a tutta la sua servitù. Ludovico Ariosto, però, si oppose fermamente a trasferirsi e per questo motivo venne licenziato da Ippolito, ma nel 1517 Ariosto riprese servizio come stipendiato sotto l’altro fratello, il Duca Alfonso I.

Senza il fidato fratello a corte, Alfonso si trovò in quegli anni anche a fronteggiare l’imprevisto lutto della sorella Isabella, rimasta vedova dopo la morte di Francesco Sforza, il 29 marzo 1519. Grazie ai consigli e alla vicinanza di Alfonso, Isabella riuscì comunque a governare Mantova, fino alla maggiore età del figlio Federico. 

Pochi mesi dopo la morte del cognato, il 24 giugno, Alfonso perse anche la moglie: Lucrezia era in attesa di una figlia, ma purtroppo la gravidanza si concluse con la morte di entrambe.

Dopo i solenni funerali in una città a lutto, Alfonso trascorse l’estate del 1519 a Belriguardo, tra gli impegni civili e le attività edilizie. In quel momento tanto delicato, tra la morte di Lucrezia e il fratello Ippolito in Ungheria, Alfonso si ammalò gravemente, diventando facile preda delle sempre attive mire espansionistiche dello Stato della Chiesa e in particolare di Leone X. 

Ma le dinamiche politiche cambiano velocemente in quegli anni, così come le alleanze. Lo dimostra l’accordo segreto tra il Papa e il Re di Francia, ufficialmente nemici: Leone X si impegna a difendere la Francia e a negare a Carlo V il Regno di Napoli, mentre Francesco I promette di difendere il Papato da Carlo V e da qualsiasi feudatario insubordinato. È in questa situazione che Leone X, il Vescovo di Ventimiglia Alessandro Fregoso e il Cardinale Giulio de Medici, idearono un piano segreto, per conquistare la città di Ferrara. Alfonso ne venne ben presto a conoscenza, informato direttamente dalla sorella Isabella e, nonostante la sua malattia, con grinta e coraggio si preparò alla battaglia. Subito fortificò velocemente la città, poi cercò alleati: tra questi, ottenne l’inestimabile sostegno di Federico Gonzaga, che non diede il permesso alle truppe nemiche di passare lungo il Po. Questa mossa costò tempo e, soprattutto, svelò il piano, tanto che il Vescovo decise di rinunciare all’attacco e Leone X si affrettò nel dichiarare la sua totale estraneità alla vicenda. La notizia del colpo di mano tentato da Alessandro Fregoso sollecitò il rientro dall’Ungheria di Ippolito, che fece il suo solenne ingresso a Ferrara la domenica di Pasqua del 1520. L’estate del Cardinale trascorse tranquillamente nelle ‘delizie’ in cerca di riposo e di refrigerio, ma verso la fine della stagione la salute di Ippolito peggiorò improvvisamente. La morte arrivò tra la notte del 2 e 3 settembre, all’età di 41 anni. Ippolito aveva già nominato erede universale del suo patrimonio Alfonso, che si fece carico del sostentamento della famiglia del fratello, compresi i due figli, pare avuti dalla cantante Dalida de’ Putti, nati e cresciuti nella più assoluta riservatezza. Nonostante Leone X avesse riconosciuto la validità del testamento, fu un percorso difficile vedersi riconoscere la ricchissima eredità del fratello.

Nel frattempo, Leone X cambiò ancora strategia e si alleò questa volta con Carlo V, ufficialmente per estirpare ogni forma di eresia, ma anche per scacciare i francesi. E ovviamente la città di Ferrara rientrava sempre nei piani del Papa, che la voleva riannettere. Con questi presupposti anche il Duca iniziò ad arruolare soldati per combattere una guerra ormai imminente che affronterà con una audacia ritrovata, grazie alla relazione appena iniziata con la giovanissima Laura Dianti.

In questo periodo Tiziano è nuovamente a Ferrara per dipingere, intorno al 1522, i ritratti della Dianti e di Alfonso, il primo oggi in collezione privata in Svizzera e il secondo perduto. Inoltre l’artista veneziano conclude il dipinto “Gli Andrii” destinato all’appartamento privato del Duca nei Camerini Dorati.

Come previsto, Alfonso scese in campo per la battaglia e in soli tre giorni riconquistò le città di San Felice e di Finale, più Parma, che subito dopo fu riconquistata dai francesi, mentre la quasi totalità della Garfagnana, recuperata da Alfonso nel 1513, passò sotto il controllo fiorentino. Non fu questa l’unica vittoria dell’esercito papale, che conquistò molti territori e a ottobre puntò dritto verso Ferrara. Leone X, che all’inizio del suo pontificato aveva assolto Alfonso I dalla scomunica, lo scomunicò di nuovo, lui e la città di Ferrara. La battaglia iniziò tra Bondeno e Ospitaletto, ma Alfonso fu ben presto costretto a ritirarsi entro le mura urbane, dove richiamò tutti i suoi ufficiali per la difesa della città, che dopo la caduta di Milano restava l’obiettivo principale del Papa. 

La morte inaspettata di Leone X nel dicembre 1521 favorì Alfonso che riuscì a recuperare parte dei territori persi. Di conseguenza, private dal peso del giogo papale, la Garfagnana e il Frignano tornarono spontaneamente sotto il Ducato e Alfonso inviò in quei territori un nuovo e illustre governatore, Ludovico Ariosto, costretto ad accettare l’importante incarico affidatogli.

Al fianco di Carlo V contro la Lega di Cognac

Il breve pontificato di Adriano VI, al secolo Adriano Florisz, già vescovo di Tortosa, non cambiò assolutamente orientamento ai rapporti tra Alfonso e lo Stato Pontificio, ma portò comunque la sospensione dell’interdetto su Ferrara e qualche anno di relativa tranquillità nel Ducato. L’assoluzione della scomunica, invece, costò parecchio al Ducato: per compiacere il nuovo Papa, infatti, Alfonso sottoscrisse un accordo con la città legatizia di Bologna, che si rivelerà disastroso per l’economia fluviale del territorio. In pratica, i bolognesi avrebbero immesso il Reno nell’alveo originario presso Cento, facendo perdere a Ferrara la sicurezza di avere la parte meridionale della città protetta dal fiume, senza considerare il danno commerciale dovuto alla perdita dei dazi sui traffici di merci e di persone. Però l’operazione andò a buon fine: Ercole II rappresentò la casa d’Este davanti al nuovo Papa e al suo rientro portò con sé la bolla di assoluzione dalla scomunica. 

Rinfrancato da questa notizia e, soprattutto, dopo essersi ristabilito da una lunga malattia, Alfonso approfittò della tregua per curarsi anche dei fratelli Giulio e Ferrante, ancora detenuti dopo la fallita congiura, assegnando loro all’interno del castello, una stanza con finestre sopra la torre dei Leoni. 

Ma il periodo di tranquillità si esaurisce ben presto, con la morte, anch’essa improvvisa, di Adriano VI. Alfonso sfruttò subito l’occasione per riprendere sia Modena che Reggio, perse dal 1510: quest’ultima città senza spargimenti di sangue deliberò di tornare sotto il Ducato, seguita da Montecchio, Castelnovo di Sotto e Brescello. L’attacco a Modena fu invece procrastinato, perché Alfonso aspettava i rinforzi, ma nel frattempo arrivò un monito da parte della Chiesa che fu appeso alla porta del Duomo di Modena. La speranza di Alfonso era confinata nell’elezione di un Papa amico, disposto a confermare i possedimenti appena conquistati. Ma la speranza svanì quando fu eletto Giulio de’ Medici con il nome di Clemente VII, il quale immediatamente esortò il Duca a deporre le armi e a fermare la sua avanzata. Alfonso fu costretto dalle circostanze a fermarsi per portare avanti le trattative che si sarebbero aperte per il possesso di Modena e Reggio. La missione diplomatica verso il nuovo Pontefice si concluse solo con l’accordo di non belligeranza per un anno.

Nel frattempo, comunque Alfonso proseguì le opere di fortificazione, completando nel 1524 il Baluardo di San Rocco, dotato di cannoniere e di una piazza d’armi, che divenne la punta di diamante del sistema difensivo. Nel settembre 1525 il Duca partì per Madrid, per trattare direttamente con l’Imperatore Carlo V riguardo alla questione di Modena e Reggio, anche tranquillizzato da una sospensione temporanea del processo a suo carico per occupazione di suolo ecclesiastico, su concessione del Papa. La tregua non fu però rispettata, infatti a Grenoble Alfonso fu raggiunto dalla notizia che Clemente VII era deciso a marciare su Ferrara. Il Duca fece velocemente rientro verso la propria città, che durante la sua assenza era governata dal giovane figlio Ercole. Ovviamente, visto l’evolversi delle politiche papali e in discontinuità rispetto alla sua fedeltà alla corona francese, Alfonso si pose in contrapposizione alla Lega di Cognac – un patto antimperiale stipulato tra il Papa, Venezia e la Francia – e strinse un accordo con Carlo V, rafforzato dal fidanzamento tra Ercole e Margherita, figlia naturale dell’Imperatore. Successivamente questi confermò ad Alfonso l’investitura delle terre che deteneva per conto dell’Impero e la nomina a capitano generale del suo esercito in Italia. Arrivò così l’anno 1527 e con esso la notizia di un armistizio tra il Papa e il Viceré spagnolo: questo fece infuriare le truppe mercenarie, che si spinsero fino a Roma distruggendola e depredando durante i terribili dieci giorni del Sacco di Roma. Proprio Alfonso consegnò ai lanzichenecchi alcune artiglierie delle sue fonderie, in particolare vari falconetti (cannone di piccole dimensioni facilmente trasportabile). Il Papa rimase a lungo chiuso all’interno di Castel Sant’Angelo, assediato dai tedeschi senza che l’esercito della Lega riuscisse a liberarlo, costringendolo alla ritirata a Viterbo e, di conseguenza a firmare una dispendiosa capitolazione sia in termini economici che di possedimenti, tra cui fu inserita anche Modena. A distanza di un giorno da questo accordo, Alfonso rientrò in possesso di Modena e pochi giorni più tardi la città trattò per la resa pacifica tornando dopo 17 anni sotto il dominio estense. Ci furono grandi festeggiamenti sia a Ferrara che a Modena dove il Duca rimase per qualche tempo per ripristinare il suo potere. Per celebrare il momento, Ludovico Mazzolino dipinge per Alfonso la “Cacciata dei mercanti dal Tempio”, oggi in Inghilterra al Alnwick Castle di Northumberland. Alfonso entrò trionfante a Ferrara solo il 14 giugno, dove trovò anche la compagna Laura, che nel frattempo era divenuta madre da pochi mesi di un bambino di nome Alfonso.

Carlo V: Modena torna agli Este

Quando calò in Italia l’esercito francese per liberare il Papa, Ferrara si trovò nella condizione strategica per cui, per giungere a Roma si doveva forzatamente attraversare il Ducato estense: le pressioni perché Alfonso aderisse alla Lega di Cognac furono forti (di fatto Ferrara aveva sempre sostenuto il Re di Francia fino ad allora e il matrimonio tra Ercole e Renata di Valois, avvenute il 28 maggio del 1528 confermano questa alleanza) e la paura di perdere nuovamente Reggio e Modena lo convinsero a concedere il libero passaggio, ottenendo così la rinuncia del Papa sui territori di Modena, Reggio, Brescello e Castello di Novi. Il popolo e i suoi collaboratori, però, non furono contenti di impugnare le armi contro Carlo V, che al Ducato aveva fatto solo del bene. Inoltre il sospetto che Clemente VII si volesse comunque vendicare di quanto fatto da Alfonso al fianco dell’Imperatore, divenne realtà nel momento in cui il Papa tornò di nuovo libero e sostenne che non avrebbe firmato quel trattato, perché sottoscritto mentre lui era accerchiato a Castel Sant’Angelo. Clemente VII, in pratica, non voleva assolutamente lasciare quei territori agli Este. Una volontà confermata anche di fronte allo stesso Carlo V, ormai dominus dello scacchiere italiano, oltre che europeo, con cui intavolò un’intensa relazione diplomatica per giungere alla pace e affrontare, stavolta insieme, le insidie religiose, i protestanti, e la minaccia ai confini, ovvero i turchi. Una nuova alleanza venne sancita dall’incoronazione a Bologna di Carlo V, che ricevette dalle mani di Clemente VII la corona di Imperatore del Sacro Romano Impero. Ad Alfonso fu vietato di partecipare alla cerimonia di investitura, ma non di incontrare separatamente Carlo V, cosa che fece, proprio per garantirsi un alleato nella futura e difficilissima trattativa con il Papa. Il negoziato si tenne appunto da Clemente VII e Carlo V: il primo pretendeva tutti i territori compresa Ferrara, ma l’intervento del secondo portò ad un compromesso che rimandava ad un arbitrato imperiale la questione del possesso di Modena, Reggio, Rubiera e Ferrara. Questo primo accordo soddisfò Alfonso, che comunque immaginava già un epilogo oneroso, almeno sul piano finanziario. E così fu, infatti, dopo un’ulteriore proroga, finalmente l’imperatore sancì la posizione di Modena e Reggio a favore del Duca, che però avrebbe dovuto riscattarle dal Papa con il pagamento di centomila ducati d’oro. Restava il divieto di estrazione del sale da Comacchio e l’obbligo di recarsi a Roma per chiedere personalmente perdono al cospetto di Clemente VII. La sentenza non incontrò il favore del Pontefice che rifiutò la somma di denaro e acconsentì di investire del titolo di Duca il solo Alfonso, ma non i suoi successori. Il braccio di ferro durò per altri mesi, con un tentativo fallito da parte del Papa di recuperare i suoi territori, concludendosi con la riacquisizione di Modena, confermata feudo imperiale concesso agli Este. Ferrara, invece, fu riconosciuta feudo ecclesiastico che il Papa concedeva al Duca e ai suoi discendenti, purché si mostrassero fedeli e pagassero una retta. L’obiettivo di riunire sotto la Casa d’Este Ferrara e Modena, dopo anni di tentativi, fu finalmente raggiunto. Alfonso poté quindi iniziare a progettare la sua successione.

Ercole II, l’erede designato

Risolta la questione con il Papa e l’Imperatore, Alfonso poté dedicarsi di più alla sua famiglia: il primo gennaio 1530 con un atto di donazione venne sancito legalmente il rapporto con Laura Dianti, al tempo in attesa del loro secondo figlio, che nascerà il 17 settembre 1530 con il nome di Alfonsino. 

A fine agosto 1533 Alfonso fece quindi testamento nominando Ercole erede universale di tutti i suoi beni mobili e immobili. Nell’atto inserì anche i figli avuti con Laura: in caso di estinzione della linea di successione Borgia, potevano subentrare alla guida del Ducato. A Renata di Valois, sua affezionata nuora, affidò invece la protezione di tutta la famiglia. Nel luglio dello stesso anno muore Ludovico Ariosto, collaboratore ed amico del Duca.

Anche negli ultimi anni di vita, comunque, Alfonso si dedicò alle opere di fortificazione, in questo caso a quelle di Modena: un grande sforzo fisico ed economico, visto che Clemente VII non avrebbe mai rinunciato all’idea di possedere Modena e Reggio. Ma anche questa volta sopraggiunse la morte del Papa prima che questi potesse di nuovo agire contro Alfonso. Con la morte del pontefice, avvenuta il 25 settembre 1534, anche lo spettro della guerra si allontanò, il clima più favorevole fu confermato dall’elezione di Paolo III, al secolo Alessandro Farnese.

Un mese dopo, Alfonso, gravemente ammalato, morì. Prima di andarsene, a suggello dell’amore che lo legava alla fedele Laura, Alfonso le donò la Delizia del Verginese.

Il Duca morì la sera del 31 ottobre 1534 e il funerale fu celebrato il 3 novembre: il corpo sfilò per tutta Ferrara fino al monastero del Corpus Domini. Gli succederà, come previsto, il figlio Ercole, quarto Duca di Ferrara, Modena e Reggio.

Alfonso I e l’arte

La “granata svampante”: l’impresa di Alfonso I

Lo stemma personale che identifica Alfonso è la“granata svampante” rappresentata da una sfera da cui escono attraverso tre fori (due laterali e uno centrale) delle fiamme, testimonianza della potenza raggiunta dall’artiglieria estense e dal Duca stesso. Il motto all’insegna lo scrisse Ariosto, inizialmente in latino “loco et tempore”   e poi convertito in francese “A lieu et temps” e significa “a luogo e tempo appropriati”, in quanto per essere efficace, la bomba deve esplodere nel luogo e nel momento giusto. L’invenzione di questo oggetto usato nelle battaglie si deve proprio ad Alfonso, che come già detto, era soprannominato “principe artigiano” per le doti manuali che possedeva, soprattutto nel forgiare il metallo ed inventare nuove armi da usare nei combattimenti. 

Il simbolo è presente anche nei luoghi del Duca, ad esempio nella scomparsa Delizia di Belvedere, costruita per volontà di Alfonso dal 1513 sull’isola di Boschetto posta in mezzo al Po e rasa al suolo dopo la Devoluzione per costruire una fortezza papale (anche questa demolita nel 1865). Qui la “granata svampante” viene associata al simbolo della farfalla posta al di sopra della sfera, a significare che il luogo non vuole essere di guerra ma di svago, infatti la forza distruttiva della “balla svampante” è sottomessa alla delicatezza della farfalla.

Legato al tema delle farfalle e presumibilmente alla Delizia di Belvedere è “Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù” dipinto da Dosso Dossi tra il 1523-24 e ora a Cracovia nel Castello Reale del Wawel.

Nel quadro sono presenti tre figure Giove a sinistra, intento in un’attività non solo intellettuale (la nascita delle farfalle), ma anche manuale (quella di dipingere), dalla quale non vuole essere disturbato. Mercurio, posto dietro di lui, protegge l’otium del Dio dall’arrivo di un’affannata Virtù, che supplica di essere ascoltata. Nella figura di Giove è possibile leggere la rappresentazione del Duca, dove nella quiete della Delizia trova ristoro dagli impegni politici che devono attendere (la Virtù) davanti all’impegno culturale e creativo del sovrano.

Il codice miniato di Alfonso

Durante i difficili anni di lotta con Giulio II, Alfonso commissionò uno straordinario codice miniato detto “Offiziolo Alfonsino” o il “Libro d’ore di Alfonso I”. Il codice non è solo un libro privato di preghiere del Duca, ma è uno strumento politico: oltre a esaltare la figura di Alfonso è utilizzato come mezzo per difendersi dalle accuse mosse dal pontefice ed esaltare la sua religiosità, rimarcandola apertamente. Il codice è stato commissionato nel 1505, anno in cui Alfonso divenne Duca, probabilmente per emulare i suoi predecessori che avevano lasciato due capolavori come la “Bibbia di Borso” e il “Breviario di Ercole I”. L’esecuzione dell’opera è databile probabilmente tra il 1505 e il 1510-12, frutto della maestria del miniatore di corte Matteo da Milano. Dopo la Devoluzione il codice fu trasferito a Modena alla Biblioteca Estense, dove vi rimase fino al 1859 quando in seguito all’esilio a Vienna di Francesco V prese la strada del mercato antiquario. Oggi il codice è diviso tra la Strossmayerova Galerija di Zagabria e il Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona.

Le prime pagine del manoscritto sono dedicate al calendario romano, con l’indicazione dei Santi, delle feste liturgiche e con consigli pratici sull’alimentazione e sulla salute. Dopo questa prima parte si sviluppa la sezione più devozionale, quella della Liturgia delle ore, che determina i tempi e i momenti dedicati alla preghiera durante la giornata.

La prima pagina miniata (Pagina c. 13r, Lisbona Museu Calouste Gulbenkian) mette in straordinaria evidenza la figura del Duca: nella parte superiore è rappresentata la più famosa delle imprese e cioè la “granata svampante” la cornice con fondo oro è un tripudio di fiori colorati, uccelli, fragoline, perle, gemme e cammei. Al centro il Duca è ritratto in armatura con il volto barbuto e segnato dalla stanchezza rivolto in preghiera verso Dio che appare sopra di lui. Dalla parte opposta sono inseriti i suoi titoli in caratteri d’oro su fondo blu “AL (FONSUS) DUX FERRARIAE III”. Il testo che accompagna quest’immagine è la richiesta da parte del fedele di non venire abbandonato nelle avversità dal Signore e di essere protetto dai malvagi. Il significato di questa supplica può nascondere un’allusione alle tensioni con lo Stato Pontificio e in particolare con Giulio II. La pagina si chiude con l’insegna degli Este posta tra due fantasiose figure fitomorfe.

Sul tema degli scontri con il pontefice il foglio più palesemente polemico è quello con la rappresentazione del Trionfo della Morte conservato a Zagabria (Pagina S.G. 352, Trionfo della Morte, Zagabria Strossmayerova galerija). La Morte, personificata da uno scheletro armato con arco, frecce e una lunghissima falce, è intenta a mietere vittime ed è raffigurata proprio nel momento in cui riesce ad appoggiare una mano sulla spalla del pontefice. Il Papa che volge lo sguardo alla Morte è rappresentato di profilo e sul suo volto è visibile la barba, proprio questa caratterizzazione potrebbe alludere a quella portata da Giulio II che si era fatto crescere come voto dall’ottobre del 1510. A quel tempo Giulio II aveva già scomunicato Alfonso, interdetto Ferrara e guidava personalmente le truppe ecclesiastiche nelle battaglie contro il Ducato, solo la morte avvenuta nel febbraio del 1513 ferma la sua avanzata.

Le donne della vita di Alfonso I

Tre furono le donne che fecero parte della vita di Alfonso: Anna Maria Sforza sua prima moglie, Lucrezia Borgia consorte in seconde nozze e la sua ultima compagna, Laura Dianti. Attraverso i ritratti degli artisti più importanti dell’epoca, i loro volti sono arrivati fino a noi, anche se il dibattito per l’attribuzione resta sempre vivace.

Anna Maria Sforza

L’aspetto di Anna Maria Sforza, figlia del Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, non ci è stata trasmessa con certezza nei sette anni che trascorse alla corte estense. I presunti ritratti della dama sono molteplici, quello che incontra maggiori pareri favorevoli sull’identificazione è “La Dama della reticella di perle” di Giovanni Ambrogio de Predis esposta alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. La troviamo però rappresentata su un prezioso piatto da parata in ceramica graffita, conservato al British Museum di Londra. Al centro sono presenti due figure: il giovane tiene una lunga spada, mentre la dama ha tra le mani un liuto, lo scudo posto al loro fianco li identifica, inversamente rappresentati rispetto alle figure, è dipinto lo stemma degli Sforza e la “granata svampante”.


La Santa Lucrezia 

L’iconografia della figura di Santa Lucrezia di Mérida è molto rara e il quadro dipinto da Dosso Dossi, pittore ufficiale di corte dal 1514, può essere considerato come un omaggio commissionato da Alfonso alla defunta duchessa. La datazione del dipinto è ancora un tema dibattuto, se alcuni studiosi indicano il 1516 circa, tempo in cui Lucrezia era ancora vivente, altri mettono in evidenza come alcuni elementi possano essere in relazione con un evento funebre. L’elemento più significativo riscontrato per avvalorare questa ipotesi è la statua presente nella nicchia dietro alla Santa, infatti l’oggetto è rappresentato di spalle, in modo che l’osservatore non possa vederne il volto, questo farebbe presupporre ad una raffigurazione di “dolente”, cioè una figura che sancisce il suo trapasso dal mondo dei vivi a quello dei morti. L’identità della Santa non è messa in dubbio, in quanto indica con la mano l’iscrizione a lettere d’oro “S. LUCREZIA”. Il quadro sarebbe un pendant insieme alla Santa Paola (collezione privata), su cui la critica di spacca ancora una volta proponendo come autore Battista Dossi. Questo secondo quadro, probabilmente eseguito alcuni anni dopo, sarebbe un omaggio alla nuova compagna del Duca, Laura Dianti, chiamata anche Eustochia. Proprio questo nome mette in relazione la figura di Laura con la figlia di Santa Paola, che si chiamava Eustochia.

Laura Dianti

Il ritratto più conosciuto della bella popolana divenuta compagna di Alfonso è certamente quello eseguito nel 1523 circa da Tiziano, ora conservato nella collezione Kisters in Svizzera. Del dipinto furono eseguite numerose copie, la critica è concorde nell’identificare quello in Svizzera come l’originale, una replica è conservata presso la Galleria Estense a Modena, altre sono esposte al Metropolitan di New York, al Nationalmuseum di Stoccolma, alla Galleria Borghese di Roma e in collezioni private. 

La donna è vestita in blu, indossa un ricco abito e l’acconciatura è ornata da un elegante diadema. Il suo sguardo è sfuggevole, gli occhi non sono rivolti allo spettatore, ma sembrano seguire un pensiero o qualcosa che avviene intorno a lei. La sua figura centrale riempie lo spazio della tela, ma non è ritratta sola: infatti Laura appoggia una mano sulla spalla di un piccolo paggetto africano. 

Alfonso vittorioso: la battaglia di Polesella

La battaglia di Polesella, che vide la vittoria dell’armata estense sulla flotta veneziana, è uno dei più importanti successi militari raggiunti da Alfonso. La troviamo dipinta alle spalle del Duca nella tela eseguita da Battista Dossi “Ritratto del duca Alfonso I d’Este” ora conservata alla Galleria Estense di Modena. Il Duca rappresentato in armatura porta sul petto il collare dell’ordine di San Michele e poggia la mano destra sulla bocca di un cannone, posto dietro di lui, a evidenziare le sue virtù militari, la sua passione per l’artiglieria e grande esperto di tecnica militare. Sullo sfondo sono dipinte le scene della battaglia: sopra un’altura e lungo gli argini del fiume è disposta l’artiglieria estense, fanti e cavalieri sono in campo e sul Po le navi veneziane sono in fiamme distrutte dai colpi delle armi da fuoco. 

Le artiglierie estensi erano, ad inizio del XVI secolo, famose in tutta Europa perché tecnologicamente le più moderne ed efficienti e insieme alla tecnica militare sono state le protagoniste della vittoria di Polesella. Ludovico Ariosto nel IX canto dell’Orlando Furioso descrive le armi da fuoco come terribili strumenti “…o maledetto o abominioso ordigno…” perché eliminano l’eroismo dei cavalieri, ma ci tramanda due nomi di questi famosi archibugi che evocano la loro temerarietà “Terremoto” e “Gran Diavolo”. 

Lo scrigno di Alfonso: i “Camerini d’Alabastro”

Il braccio edilizio denominato “via coperta”, costruito da Borso d’Este per collegare il Palazzo di Corte al Castello Estense, venne sopraelevato da Alfonso sotto la direzione di Biagio Rossetti, ampliando ulteriormente a partire dal 1507 gli spazi per la vita di corte con la sistemazione dei “Camerini d’Alabastro”. Si trattava di due ambienti consecutivi che servirono ad ospitare prima della loro dispersione, le collezioni d’arte del Duca. 

A conseguenza della Devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio del 1598 il Cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, ordinò immediatamente la spogliazione dei “Camerini d’Alabastro” di Alfonso, depredando e portando le opere a Roma. 

Il primo camerino doveva essere in costruzione tra il 1507 e il 1511 e qui erano ospitati i rilievi in marmo eseguiti da Antonio Lombardo, oggi conservati all’Ermitage di San Pietroburgo. Probabilmente solo dopo il 1513 iniziò la progettazione del secondo camerino, dove erano collocate opere di tema non religioso commissionate ai più importanti pittori viventi. Sulle pareti trovavano spazio i dipinti di Tiziano “Bacco e Arianna” (ora a Londra alla National Gallery), “Offerta a Venere” e “Gli Andrii” (entrambi a Madrid al Museo del Prado), di Bellini “Il festino degli Dei” (ora a Washington alla National Gallery of Art). Dosso Dossi eseguì un fregio con dieci scene di episodi tratti dall’Eneide, ad oggi sono state identificate quattro sezioni: una a Ottawa alla National Gallery of Canada, una a Birmingham al The Trustees of the Barber Institute of Fine Arts – University of Birmingham, due in collezione privata a New York, una parte probabilmente identificata a Washington alla National Gallery of Art.

BIBLIOGRAFIA:

L’età di Alfonso I e la pittura del Dosso: Ferrara, Palazzina di Marfisa d’Este, 9-12 dicembre 1998: atti del convegno internazionale di studi [promosso dall’Istituto di studi rinascimentali di Ferrara]. – Modena: F.C. Panini, 2004. 

Vincenzo Farinella “Dipingere farfalle: Giove, Mercurio e La virtù di Dosso Dossi: un elogio dell’otium e della pittura per Alfonso I d’Este” – Firenze: Polistampa, 2007.

Vincenzo Farinella “Alfonso I d’Este: le immagini e il potere: da Ercole de’ Roberti a Michelangelo” con la “Cronistoria biografica di Alfonso I d’Este” di Marialucia Menegatti e il “Pulcher visus” di Scipione Balbo, a cura di Giorgio Bacci – Milano: Officina Libraria, 2014

“Libro d’ore di Alfonso d’Este Offiziolo alfonsino” – Il bulino, Milano: Y. Press, 2004

Luciano Chiappini “Gli Estensi: mille anni di storia” – Ferrara: Corbo, 2001

Treccani Dizionario bibliografico