Ercole II, figlio di Alfonso I e Lucrezia Borgia, è stato uno dei Duchi più longevi di casa d’Este, con un governo di ben venticinque anni, merito di una politica accorta, fatta di mediazione e diplomazia, volta a mantenersi il più possibile neutrale, lontano dalle guerre. In questo senso va collocato anche il suo matrimonio combinato dal padre Alfonso, con Renata di Francia figlia del Re Luigi XII, che portò agli Este un importantissimo, ma anche turbolento, legame politico con il regno d’oltralpe e che condizionò la vita e le azioni di Ercole.
La vita
Ercole nasce a Ferrara il 4 aprile 1508: figlio primogenito di Alfonso I e Lucrezia Borgia, la sua nascita fu accolta con immensa gioia in quanto assicurava immediatamente la linea maschile di discendenza. Fu chiamato Ercole in onore del nonno paterno, Ercole I, che aveva reso Ferrara una grande città moderna.
Alfonso scelse per lui un’accurata educazione culturale, avendo la certezza, vissuta sulla propria pelle, che la sola valenza militare non sarebbe bastata a mettere in salvo la fragile armonia del Ducato. Non fu trascurato neppure lo studio della musica, in cui Ercole apparve fin da subito molto portato, ma la sua naturale predisposizione era rivolta allo studio delle lettere, tanto è vero che già a dieci anni leggeva e traduceva con disinvoltura il latino. Per questo motivo fu inviato a Roma per rendere omaggio al nuovo Pontefice Adriano VI, al secolo Adriaan Floriszoon: nonostante avesse solo quattordici anni, recitò in maniera eccelsa un’orazione latina in cui, si chiedeva anche la restituzione delle città di Modena e Reggio. Purtroppo quel pontificato durò troppo poco per poter esaudire le richieste degli Este, tanto che già l’anno seguente – 1523 – Ercole si presentò nuovamente a Roma per riverire il nuovo Papa, Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici.
Due anni più tardi, il futuro Duca fece anche il suo esordio militare nella battaglia di Castel Sant’Angelo presso Pavia e, tra settembre e novembre, tenne la reggenza del Ducato, data la lontananza del padre.
Il matrimonio con Renata di Francia
Le alleanze politiche hanno sempre svolto un ruolo fondamentale per un piccolo stato come quello Estense, per questo era importante scegliere con lungimiranza e abilità i propri sodalizi che potevano rafforzarsi anche attraverso i matrimoni. La scelta di Alfonso per il figlio ricadde su Renata, figlia del Luigi XII Re di Francia e di Anna di Bretagna. L’accordo fu firmato nel 1527 e le nozze furono celebrate l’anno seguente. Un prestigioso corteo lasciò Ferrara nei primi giorni di aprile per giungere a Parigi, dopo circa un mese e mezzo di viaggio, a fine maggio. Le nozze furono celebrate il 28 giugno 1528 nella Sainte-Chapelle a Parigi. Questo matrimonio politico avrebbe dovuto portare nelle casse ducali la ricca dote di Renata, valutata in 250.000 scudi d’oro. Ben presto, però, fu palese la scarsa liquidità dello stato francese e la dote fu convertita nell’investitura di Ercole a Duca di Chartres, Conte di Gisors e Signore di Montargis, la cui rendita annua doveva aggirarsi intorno ai 12.000 ducati (anche se la riscossione si rivelerà un affare piuttosto spinoso).
Oltre all’aspetto finanziario, tanti altri furono i problemi che la giovane coppia dovette affrontare. Lo stesso ritorno dei coniugi in Italia fu rinviato fino al mese di settembre: non solo per le lunghe trattative relative alla dote, ma soprattutto per la peste che aveva colpito Ferrara. E anche il viaggio di ritorno fu molto lungo, durò infatti più di due mesi, a causa delle tappe in numerose città, le quali vollero rendere omaggio alla coppia che si muoveva con un seguito di almeno cinquecento persone. La sosta più rilevante fu quella di Modena, a metà novembre, dove Alfonso volle nuovamente celebrare il matrimonio del figlio nel Duomo, per ribadire allo Stato Pontificio la propria autorità su quel territorio. Finalmente il 1° dicembre 1528 la coppia entrò a Ferrara attraverso Porta Paola, accompagnata dai rintocchi delle campane e da colpi d’artiglieria: i festeggiamenti si susseguirono per giorni, fino a culminare il 24 gennaio 1529 con la cena offerta da Ercole e preparata dallo scalco Cristoforo di Messisbugo, il servitore addetto a coordinare e portare in tavola le portate per i commensali. Il termine “preparazione” deve essere qui inteso nell’accezione più ampia possibile: esso comprende infatti sia la preparazione stessa degli alimenti sia l’allestimento della sala e l’intrattenimento degli ospiti, un vero e proprio spettacolo, in un connubio costante tra arti e cibo. Ad esempio, il preludio al banchetto fu la rappresentazione della “Cassaria” di Ariosto, a conferma di come il teatro fosse per gli Este una forte passione, mentre le portate furono scandite da intermezzi musicali di cantanti, musicisti e di un’orchestra. Tutti questi elementi, magistralmente diretti dal Messisbugo, componevano insieme una spettacolare manifestazione artistica.
Una corte francese a Ferrara
Le alleanze e le subordinazioni politiche legarono Ercole a diverse potenze, spesso in contrapposizione tra loro: era cognato del Re di Francia, vicario dell’Imperatore su Modena e Reggio, in contrasto con la Francia e vicario dello Stato Pontificio su Ferrara. Questa fitta rete di rapporti richiedeva perciò un’estrema accortezza nell’agire, per valutare in anticipo le eventuali conseguenze per il Ducato.
Ercole non trovò nella moglie un’alleata in grado di sostenere le sue decisioni di governo, anzi ella era spesso in disaccordo con le sue disposizioni: Renata, difatti, nonostante il suo risiedere a Ferrara, si considerava al servizio della politica francese e non perdeva occasione per sottolineare le sue origini regali e quanto il Ducato dovesse propendere per la Francia.
Una riprova di questo atteggiamento era la presenza della “sua Corte”: Renata aveva portato con sé un entourage francese, un vero e proprio corpo estraneo e straniero nel territorio ferrarese. Ne facevano parte più di centosessanta persone, con i più svariati compiti: damigelle, valletti, gentildonne, cuochi, panettieri, un medico e un farmacista. Tra queste persone è da ricordare la perfida Michelle de Soubise, già dama d’onore della madre, che ebbe una parte rilevante nello spingere Renata verso le posizioni più contrastanti: ad esempio, fu lei ad esortarla a non abbandonare i vestiti alla moda francese, in modo da rimarcare costantemente la distanza tra lei e la corte ferrarese. Inoltre, le spese per il mantenimento di un seguito così numeroso e dispendioso iniziarono a far storcere il naso a molti e presto Alfonso ed Ercole arrivarono a minacciare il licenziamento di parte del personale non indispensabile, scontrandosi con una Renata ancora più ostile e irritata, a causa anche di una politica estense sempre più vicina all’Impero.
Il matrimonio, benché turbolento, portò alla coppia molti figli: la primogenita fu Anna, nel 1531 (la quale sposerà Francesco di Guisa, Viceré della Savoia), poi arrivò l’atteso erede maschio Alfonso, nel 1533 (che succederà al padre), due anni dopo Lucrezia (futura Duchessa di Urbino e figura importante durante la Devoluzione), nel 1537 arrivò Eleonora ed infine, l’anno seguente, Luigi (che sarà Vescovo di Ferrara e poi Cardinale). Diverse furono le avventure extraconiugali di Ercole, anche all’interno dell’entourage francese della moglie, una di queste rimase celebre perché il sentimento tra i due amanti era sincero: si tratta della storia d’amore con la bella gentildonna ferrarese, Diana Trotti, da cui nacquero Cesare e Lucrezia (che diventò monaca al monastero del Corpus Domini). Ma anche Renata fu protagonista di una relazione con un altro uomo: un amore corrisposto e travolgente, quello che condivise con Antonio di Pons, suo cavaliere d’onore.
I primi anni da Duca e il matrimonio sempre più difficile
A seguito della morte del Duca Alfonso, avvenuta la sera del 31 ottobre 1534, Ercole II salì al potere il giorno seguente senza complicazioni.
Uno dei primi impegni per il nuovo Duca fu quello di reperire le risorse economiche per risollevare le casse dello Stato, senza però gravare sul popolo con nuove tasse. Anzi, in questo processo di revisione, riuscì anche ad eliminare la “datèa”, molto invisa nel mondo contadino che doveva versare allo Stato una parte dei prodotti agricoli, in rapporto alla superficie seminata.
Esattamente un anno dopo essere divenuto Duca, Ercole II si recò a Roma per ottenere una riconciliazione con Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, ma la sua volontà non fu esaudita. Senza indugiare, il Duca proseguì verso Napoli, dove invece le cose andarono meglio e riuscì ad ottenere il rinnovo dell’investitura per gli Este da parte dell’Imperatore Carlo V. Forte di questa conferma, rientrato a Ferrara licenziò la malvagia madame de Soubise che, durante la sua assenza, aveva continuato a tramare alle sue spalle.
Nonostante l’allontanamento della sua “nemica di corte”, la situazione con la moglie non migliorò affatto: Renata non solo si riteneva una nobildonna francese, ma addirittura al servizio del suo Stato e mai si sarebbe riconosciuta appartenente alla corte Estense. Al suo arrivo a Ferrara, Renata era indubbiamente osservante della religione Cristiana, ma ben presto la sua fede iniziò ad essere messa in discussione. Gli insegnamenti del suo precettore Lefèvre, l’ostilità nei confronti del Pontefice, uniti alla curiosità verso i movimenti innovatori, furono tra le possibili motivazioni che portarono Renata ad avvicinarsi al Calvinismo. Ben presto gli eretici francesi trovarono in Ferrara una città ospitale dove venivano accolti dalla Duchessa e, nella primavera del 1536, lo stesso Calvino, che viaggiava sotto falso nome, giunse in città. L’ampio numero e la riconosciuta importanza delle persone e delle idee che gravitavano attorno a Renata fecero in modo che si costituisse in Italia un vero gruppo organizzato della Riforma protestante. A questo punto le chiacchiere sulla sua fede religiosa non poterono più passare inascoltate e tale circostanza rischiava di mettere in pericolo i piani di Ercole II per ottenere la pacificazione con lo Stato Pontificio. Le eventuali ripercussioni politiche di questa situazione non intimorivano solo il Ducato Estense, ma anche la stessa Francia, che prontamente inviò a Ferrara il vescovo di Limoges per sorvegliare Renata.
Ercole conosceva bene come fossero estenuanti le trattative diplomatiche con lo Stato Pontificio, proprio lui, che le aveva più volte vissute a causa delle continue scomuniche del padre Alfonso I, ed era intenzionato a contenerle in ogni modo. Nel gennaio del 1539, per esempio, non esitò a pagare 180.000 ducati d’oro alla Santa Sede per mantenere l’investitura di Ferrara e delle sue pertinenze, per sé e per i discendenti maschi legittimi e naturali, secondo la linea della primogenitura. Per concludere questo accordo, Ercole approfittò di un momento storico favorevole, sapendo che Paolo III era in cerca di risorse economiche dai principi italiani, per contrastare l’intraprendenza di Solimano II.
Quattro anni più tardi, il Pontefice, seguito da un corteo di circa tremila persone, visitò Modena e Reggio e il 24 aprile, a conclusione del viaggio, celebrò una solenne messa nel Duomo di Modena: fu in questa occasione che Paolo III conferì al Duca le onorificenze pontificie della rosa d’oro, dello stocco e del cappello. A conferma dei rinnovati buoni rapporti, seppur a conoscenza della “situazione religiosa” di Renata, il Papa non avanzò polemiche e, al contrario, le portò in dono uno splendido gioiello di diamanti. Qualche mese più tardi il Pontefice fece in modo che Renata fosse esentata dal controllo inquisitoriale locale, per favorire probabilmente i rapporti nei confronti di Luigi XII, deludendo invece Ercole II, che non voleva dare adito ad alcun dubbio sul suo potere, né abbassare la guardia nei confronti di una moglie diventata ormai una nemica.
Anche per questo, nell’agosto del 1540 Ercole donò alla moglie la Delizia di Consandolo, dove Renata abitò insieme alla sua corte tra il 1544 e il 1551, commissionando una campagna di ammodernamento della villa che coinvolse il pittore Girolamo da Carpi. Questo allontanamento dalla città fu verosimilmente un esilio più o meno forzato, a seguito delle sue idee apertamente simpatizzanti per il protestantesimo. Qui, lontano dal cuore della città e in maniera più libera di quanto avesse fatto fino ad allora, la Duchessa costituì un luogo di ritrovo, influente e organizzato, da dove avevano diffusione le idee protestanti.
Il rapporto tra i due coniugi era ormai compromesso, non solo dall’aperta ostilità di Renata nei confronti della vita ferrarese, ma anche dai ripetuti tradimenti reciproci. Ercole giunse ad utilizzare ogni tipo di inganno per trovare prove in tal senso a scapito della moglie, arrivando a dare ordine di arrestare e torturare il suo elemosiniere, nella speranza di una confessione su presunti intrighi e tradimenti che invece non arrivò mai.
Renata condannata per eresia
Durante la Pasqua del 1554, Renata commise un gesto clamoroso che aprì la strada ad una rottura inevitabile e definitiva. In occasione del Venerdì Santo, la Duchessa fece preparare una tavola “di grasso” che non teneva conto dei precetti Cattolici, spingendosi, inoltre, a vietare alle figlie di accostarsi alla Comunione. Ercole non poteva certamente tollerare un’azione tanto evidente e questa volta affrontò con fermezza la moglie: come prima cosa portò le figlie al monastero del Corpus Domini, sotto la protezione della zia Eleonora d’Este, superiora delle monache; dopodiché esortò il Re di Francia, Enrico II di Valois, ad inviare in città un teologo in grado di risolvere la questione. Il carattere indomabile di Renata non la fece retrocedere nemmeno questa volta e così arrivò la condanna per eresia da parte dell’Inquisizione. Quella stessa notte venne trasferita nel Palazzo Ducale, dove disponeva di spazi e personale limitati, poi le vennero confiscati tutti i beni. Finché, dopo due settimane, tremendamente scossa dalla situazione, Renata non trovò più le forze per continuare la sua battaglia: la filles de France rinunciò quindi all’eresia e professò pubblicamente la sua fede Cattolica, ascoltando la messa e confessandosi. Ercole non ritenne mai sincera la conversione della moglie, che in questo modo ottenne la reintegrazione nella vita di corte e il ricongiungimento con le figlie. Lo stesso Calvino, che le aveva fatto recapitare messaggi cifrati per spronarla a resistere, quando apprese la notizia della sua conversione ne fu molto deluso.
Solo dopo la morte di Ercole II, Renata, per non mettere in difficoltà il figlio salito al potere come nuovo Duca, scelse di trasferirsi nel suo castello di Montargis vicino a Grenoble. Qui fu finalmente libera di professare la fede in cui credeva, seppur nella sofferenza della lontananza dai suoi figli. Montargis fu la sua residenza per 15 anni, fino al luglio del 1575: quando la triste notizia della sua morte giunse a Ferrara, la Corte osservò il lutto, ma senza celebrare alcun funerale e anche in Francia venne sepolta senza esequie ufficiali.
La lega contro Filippo II di Spagna
Ercole giocò la sua partita politica puntando tutto su diplomazia e prudenza, per evitare soprattutto le catastrofi di una guerra. Negli ultimi anni di vita, però, dovette prendere posizione e nel novembre del 1556 entrò nella Lega composta da Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, ed Enrico II, contro Filippo II di Spagna. Ercole ricoprì la carica di capitano generale del Papa e di luogotenente per il Re di Francia, ma ovviamente la sua posizione sancì la rottura con gli Asburgo, che gli recriminarono l’ingratitudine nei confronti di Carlo V, che per primo gli aveva rinnovato il riconoscimento su Modena e Reggio. Se già il Duca aveva aderito alla lega controvoglia, il grosso esborso di denaro per coprire le spese militari lo indussero ben presto a rinunciare al comando per rientrare a Ferrara stabilmente, adducendo la scusa della congiura, mal organizzata, messa in atto da Marcantonio da Osimo.
La pace firmata tra il Pontefice e il Re della Spagna nel 1558, lasciò in ogni caso il territorio estense in balia dei nemici, almeno fino al trattato di pace tra il Duca e il Re Filippo II, che fu favorevole all’Estense, il quale ottenne la restituzione delle terre occupate mantenendo l’integrità dei suoi territori. Questo risultato positivo fu raggiunto anche grazie alla proficua mediazione di Cosimo dei Medici, una nuova alleanza che verrà suggellata dal matrimonio tra i loro figli Alfonso II e Lucrezia.
La morte di Ercole II e il doppio funerale
Ercole morì, dopo una breve malattia, il 3 ottobre 1559 nelle stanze di Castel Vecchio. Il figlio Alfonso, suo successore, si trovava da oltre un anno alla corte di Francia in compagnia del fratello Luigi. Renata fu quindi chiamata a reggere lo Stato, aspettando a lungo il rientro del figlio che avvenne solo il 20 novembre. Questo ampio lasso di tempo di cinquanta giorni, fece propendere Renata per la scelta del doppio funerale, un’usanza già attestata in Inghilterra dal XIV secolo. L’organizzazione del doppio funerale fa in modo che la salma del regnante segua i tempi dettati dalla conservazione del corpo mentre, contemporaneamente, viene realizzata un’effige – un ritratto realistico – da utilizzarsi come simulacro del sovrano durante la cerimonia funeraria, che invece seguirà tempi più dilatati.
Il 6 ottobre, quindi, la salma del Duca fu esposta alla città nella camera ardente su un catafalco, poi il suo corpo fu rinchiuso in una cassa per circa cinquanta giorni, aspettando il rientro di Alfonso. Solo dopo il suo arrivo la salma venne segretamente inumata di notte nella Chiesa del Corpus Domini alla presenza di una cerchia ristretta di familiari. A seguito della sepoltura di Ercole II, Alfonso trascorse alcuni giorni sull’isola del Belvedere senza mostrarsi ufficialmente: era in attesa della valutazione positiva alla sua successione da parte del Consiglio dei Savi, i quali, contrariamente a quanto generalmente accadeva, si recarono loro stessi presso la Delizia per dichiararlo Duca il 26 novembre. Successivamente al riconoscimento ufficiale, Alfonso II fece il suo ingresso trionfale in una Ferrara addobbata a festa per rendergli i dovuti onori.
In questa vicenda il trionfo e il lutto si intrecciano come mai prima d’ora: i paramenti effimeri che avevano accolto l’entrata trionfale del Duca furono commutati a lutto il giorno seguente, per l’ultimo addio al defunto. Siccome Ercole era già stato sepolto in segreto al Corpus Domini, l’effige ne prese il posto: la statua in stucco dalle sembianze del defunto e rifinita con dovizia di particolari venne deposta nella bara al centro della cappella ardente. Alfonso, entrato trionfante in città solo il giorno prima, era ora vestito secondo la tradizione del “gran lutto alla borgognona” e quindi incappucciato in nero. Il corteo funebre, seguendo la moda cavalleresca già voluta dal Duca Borso per i suoi funerali, si mosse dal Castello verso il Duomo per giungere infine al Corpus Domini. Con quest’ultimo atto si conclude l’episodio ferrarese del doppio funerale, che ebbe una durata di quasi due mesi. Seguendo quindi una tradizione proveniente dalla Francia, anche a Ferrara è l’effige ad assumere il simbolo della continuità del potere: una scelta resa necessaria dalle molteplici condizioni sfavorevoli in cui si trovava il Ducato alla morte di Ercole II: la lontananza dell’erede, l’inefficacia della tecnica dell’imbalsamazione, la reggenza di una Duchessa eretica.
La cultura e le arti alla Corte di Ercole II
Durante il suo lungo periodo di governo, Ercole si impegnò in maniera decisa in lavori di riqualificazione urbana, non solo nella capitale, ma anche nelle città minori: questo suo impegno gli valse la dedica di Sebastiano Serlio nel Libro IV (1537), del suo trattato I sette libri dell’architettura.
Nella città di Ferrara, Ercole si occupò della costruzione del Palazzo della Montagna e della Rotonda della Montagnola, così come dell’abbellimento delle Delizie di Belvedere e di Belriguardo (di quest’ultima va ricordata la decorazione della Sala della Vigna). Nel 1546, invece, fece consolidare le mura di Ferrara con l’aggiunta di terrapieni e scarpate esterne. Una decina di anni più tardi proseguì l’opera con l’ammodernamento del sistema difensivo attraverso l’erezione di due baluardi. Nel 1547 promosse infine la lastricazione della Giovecca, che diventò un’elegante via di passeggio.
Al di fuori della capitale, Ercole continuò la bonifica del Polesine e, tra il 1540 e 1547, commissionò il rifacimento della Delizia di Copparo all’architetto di corte Terzo Terzi che la trasformerà da semplice castalderia a dimora nobiliare. Probabilmente al suo interno dovevano già trovarsi rappresentazioni dei personaggi illustri della casa d’Este, di certo è che il Duca commissionò una serie di vedute di città appartenenti al dominio estense e altri affreschi, tra cui uno con lo stesso Ercole in atto di amministrare la giustizia, dipinti dal Garofalo e Girolamo da Carpi. Dopo vari passaggi di proprietà e un incendio che la distrusse in buona parte (1808), la torre è l’unico elemento originale rimasto dell’antica residenza nobiliare.
Anche le mura pentagonali di Brescello e la trasformazione della cittadina in fortezza furono concepite da Terzo Terzi; l’opera venne distrutta ad inizio del Settecento e oggi non ne rimane traccia ad eccezione di un unico simbolo: la statua di “Ercole benefattore”, eseguita tra il 1550 e il 1553 da Jacopo Sansovino, oggi in piazza Matteotti, ma originariamente posta nella piazza della Rocca.
L’opera più importante di Ercole fu intrapresa dal 1546, quando decise di intervenire su Modena non solo abbattendo la trecentesca cinta muraria e ricostruendola, ma anche ampliando la città verso nord: a questo periodo si devono infatti l’edificazione degli isolati attorno alla Darsena (le attuali via Ganaceto, via S. Orsola, Corso Vittorio Emanuele II) e del giardino ducale.
Anche lo Studio ferrarese conobbe un periodo favorevole sotto Ercole: è del 1545 infatti un editto del Duca che, per incentivare la propria Università, vietava ai ferraresi l’iscrizione in altre città. Nello stesso periodo furono chiamati ad insegnare illustri professori come Musa Brasavola, Gabriele Falloppio, Vincenzo Moggi, Lodovico Cato, Ippolito Riminaldi e l’Alciato. Sotto il governo di Ercole, Pietro Aretino non fu il solo letterato di corte, ma si aggiunsero anche Bernardo Tasso, Galeazzo Gonzaga, Girolamo Faletti, Agostino Mosti, Celio Calcagnini, Lilio Gregorio Giraldi, Giambattista Giraldi Cinzio e Alberto Lollio. Esempi importanti di come la formazione umanistica del Duca abbia contraddistinto tutta la sua vita, concretizzandosi anche in passioni come quella di collezionare medaglie e monete antiche.
Una predilezione per le arti che si può riconoscere anche nei lavori di ampliamento fatti eseguire da Ercole nel cuore del potere estense: il Castello cittadino prese una nuova connotazione attraverso la sopraelevazione di torri e cortine, l’aggiunta del giardino delle duchesse, ma soprattutto con la decorazione pittorica di diverse sale. Il Duca commissionò infatti affreschi e dipinti a completamento dei cicli pittorici iniziati da Alfonso I, poi realizzò per sé due appartamenti: le cosiddette “Stanze Nuove” e “della Pazienza”, quest’ultima costruita attorno al torrione di Santa Caterina. Nel 1554, a causa dei danni causati da un incendio, l’appartamento dovette essere nuovamente affrescato: il Duca lo fece dipingere da Girolamo da Carpi, seguendo un raffinato programma iconografico che esaltasse il proprio motto politico: la Pazienza. Qui trovarono posto opere di grandi artisti, oltre al già citato Girolamo da Carpi, come Dosso Dossi e il Garofalo.
Purtroppo, l’entrata nel Castello dei Cardinali legati, in seguito alla Devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio del 1598, cancellò ogni traccia di questo ambiente, di cui oggi non rimane nulla. Anche i dipinti trasferiti a Modena furono poi venduti ai principi elettori di Sassonia con la famosa “vendita di Dresda”.
L’Appartamento della Pazienza era collegato attraverso un’anticamera alla Sala della Galleria, fatta adattare da Ercole a partire dal 1554 per ospitare le sue collezioni d’arte e affrescata con vedute delle città estensi. Ercole portò avanti l’ammodernamento del Castello sia dal un punto di vista degli spazi sia degli ornamenti: lui stesso commissionò dipinti e affreschi affidando l’esecuzione a Battista Dossi, Tommaso da Carpi, Tommaso da Treviso, Garofalo, Camillo Filippi e Girolamo da Carpi, anche per la Sala del Governo, dove il Duca reggeva lo Stato e amministrava la giustizia.
La libertà offerta da Ercole agli Ebrei, rifiutati da Spagna e Portogallo, trasformò Ferrara in una città più moderna e integrata, ma anche più ricca: qui gli Ebrei infatti potevano svolgere le loro attività lavorative, dal commercio alle banche, con la stessa libertà concessa alle persone di fede cristiana. Proprio questo ambiente accogliente favorì nel 1554 la scelta di Ferrara quale sede del Congresso Rabbinico Italiano. Negli anni seguenti però, Roma impose l’espulsione degli Ebrei: il Duca, non potendo opporsi apertamente a tale disposizione, riuscì comunque a prendere tempo, permettendo loro di non lasciare Ferrara, e nel frattempo concesse a Salomone Riva, nel 1556, il permesso di fondare un istituto di studi ebraici, aperto a chiunque.
BIBLIOGRAFIA:
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“Terzo Terzi e “la nova cittade erculea” di Brescello” di Francesco Ceccarelli in “L’ambizione di essere città. Piccoli grandi centri nell’Italia rinascimentale” a cura di Elena Svalduz, Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, Venezia 2004;
“I pittori di Ercole II a Belriguardo: modelli giulieschi e tradizione vitruviana” di Alessandra Pattanaro in “Prospettiva. Rivista di Storia Dell’Arte Antica e Moderna” N.141-142, Gennaio-Aprile 2011;
Treccani Dizionario Biografico degli Italiani