La vita
Francesco nasce a Milano il 6 ottobre 1779 da Maria Beatrice Ricciarda d’Este e dall’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena, figlio di Maria Teresa Imperatrice d’Austria. La sua nascita sancisce l’origine della linea di discendenza austro-estense.
Fu sempre fermamente contrario alle idee rivoluzionarie di Napoleone a causa delle quali, da ragazzo, conobbe le avversità di una vita in esilio e visse la morte della zia paterna, la celebre Maria Antonietta che, nel 1793 in Francia, fu giustiziata sul patibolo. A seguito della conquista francese, gli Este ritennero più sicuro lasciare Milano per riparare a Vienna, dove Maria Beatrice Ricciarda si prodigò per combinare un ottimo matrimonio per il figlio e per la casata. Svanita la possibilità di nozze con la figlia primogenita dell’Imperatore, l’arciduchessa Maria Luigia, che andrà in sposa al “nemico” Napoleone, Francesco sposò nel 1812 Maria Beatrice di Savoia, figlia del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa Giovanna (1773-1832), sorella dello stesso Francesco, e per la stretta parentela (erano zio e nipote) fu necessaria la dispensa papale.
Le principali potenze europee presenti al Congresso di Vienna (1814-1815) giudicarono Francesco IV d’Austria-Este un importante tassello dell’ampio programma di restaurazione da loro concepito e, in quest’ottica, gli assegnarono nuovamente i territori del Ducato. Il 15 luglio 1814 Francesco IV fece il suo solenne ingresso a Modena tra i festeggiamenti della popolazione che si protrassero per giorni.
Il ritorno degli Este a Modena: la restaurazione
Al suo ritorno Francesco promise alla popolazione che avrebbe riportato la tranquillità vissuta sotto il governo del nonno e, per conseguire questo intento, era necessario cancellare tutte le innovazioni rivoluzionarie. Il Duca revocò immediatamente le leggi del periodo napoleonico ripristinando il Codice Estense del 1771, tagliò fuori dall’amministrazione del governo chiunque fosse stato impiegato in posizioni di prestigio durante il Regno Italico, istituì un Consiglio di Stato (che però non si riunì mai) e soppresse i consigli comunali. Il territorio si presentava diviso in cinque province: Modena, Reggio, Garfagnana, Lunigiana e Frignano. Le prime tre erano amministrate da un governatore, mentre le altre da un delegato; i comuni maggiori erano retti da un podestà e quelli minori da un sindaco, entrambi coadiuvati da consiglieri.
I lunghi anni di guerra e le continue spoliazioni costarono molto al Ducato che si trovò a dover affrontare una grave carestia. Il Duca si impegnò prontamente nel fronteggiare la situazione vietando l’esportazione del grano, acquistandone delle quantità all’estero e organizzando la distribuzione con prezzi calmierati, mentre agli indigenti fu garantito gratuitamente.
Le attività di ripristino proseguirono con il ritorno a Modena dei Gesuiti (1821) a cui furono affidate le scuole e i collegi, mentre a tutti gli ordini religiosi fu concesso di riaprire chiese e monasteri. Francesco si prodigò nella riorganizzazione della vita pubblica ripristinando l’Università e l’Accademia di Scienze, Lettere e Arti, dando vita a scuole di esercizi ginnici e nuoto, fino ad istituire bagni pubblici. Inoltre, durante i trentatre anni del suo governo, si occupò del recupero delle opere d’arte sottratte dai francesi.
Nonostante l’attività di restaurazione svolta dagli Stati conservatori avesse sopito le idee innovatrici della rivoluzione, la fiamma del cambiamento era presente a Modena come in tutta la penisola, la Carboneria e altre sette segrete erano di fatto presenti in città. A seguito dell’insurrezione carbonara nel Regno delle Due Sicilie, il Duca, per arginare il fenomeno, il 20 settembre 1820, promulgò un editto che dichiarava colpevole di lesa maestà chiunque fosse affiliato alla Carboneria o a sette assimilabili, oltre a chi avesse favorito o non denunciato tali attività, pena la morte e la confisca dei beni. Anche se l’insurrezione meridionale fu soppressa con facilità, un’altra ne scoppiava in Piemonte e il Duca, ancora una volta, rispondeva alla sommossa con un editto che istituiva un “tribunale statario” per l’ordine e la sicurezza pubblica, che prevedeva la sostituzione della pena di morte per decapitazione con quella per impiccagione.
Ci furono arresti, processi e condanne tra cui quella di don Giuseppe Andreoli, condannato alla pena di morte dall’intransigente Francesco IV che riteneva inammissibile la conciliazione dei principi religiosi con quelli liberali. Una posizione, quella del sacerdote, ulteriormente aggravata per la presunta accusa di proselitismo verso i suoi giovani studenti. Nonostante il diffuso convincimento che il Duca avrebbe finito per commutare la pena del sacerdote, Francesco si mostrò rigido e deciso a rendere questa condanna un caso esemplare, per questo, alla fine, l’esecuzione fu eseguita il 17 ottobre 1822.
La strategia del Duca non era solo quella di reprimere con azioni mirate i moti liberali, ma pensava al loro preventivo contenimento con iniziative rivolte ai giovani da attuarsi soprattutto durante gli anni universitari. Per ottenere questo stretto controllo, oltre alla censura della stampa non direttamente controllata, istituì i convitti in località lontane tra loro dove fece distribuire i giovani, distanziandoli in modo da minimizzare possibili tumulti. I primi studenti ad essere suddivisi tra i convitti di Mirandola, Fanano, Reggio e Modena furono quelli della facoltà di legge, considerata la più pericolosa a livello politico, alla quale il Duca impose un massimo di dodici lauree ogni anno.
Sempre nell’ottica di una costante sorveglianza sui giovani, Francesco IV affidò l’istruzione media al clero, in particolare ai Gesuiti, confidando nella ferrea disciplina che la religione avrebbe infuso negli studenti.
L’insurrezione a Modena
Nonostante il controllo esercitato da Francesco, la fiamma agitata dal vento di libertà covava a Modena e presto sarebbe divampata, sostenuta da Enrico Misley e Ciro Menotti. La vicenda mostra ancora oggi lati oscuri, il dato oggettivo è che il Duca conosceva entrambi, ma su quale sia stato il suo ruolo nell’evento si possono fare solo supposizioni, più o meno condivise e argomentate. Il Duca conobbe l’imprenditore Menotti nel 1823 quando si recò a vedere la sua macchina a vapore per la lavorazione dei bachi da seta; due anni più tardi si congratulò pubblicamente con lui per l’invenzione di uno strumento per raffinare l’acquavite ed infine, nel 1830, onde evitare il licenziamento dei suoi lavoratori, gli anticipò una grossa somma a prestito gratuito. In questa situazione è probabile che l’avvocato Misley, frequentatore abituale di Palazzo Ducale e amico di Menotti, sia intervenuto tra i due. L’ipotesi è che Misley, conoscendo sia i contatti di Menotti con i maggiori esponenti dei moti liberali, sia l’ambizione del Duca, abbia proposto a quest’ultimo un’ipotetica guerra contro l’Austria, millantandogli la possibilità di salire al trono d’Italia. Seguendo questa narrazione Francesco avrebbe accettato di appoggiare la rivolta, la cui data era stata concordata per il 5 e 6 febbraio, che sarebbe scoppiata in contemporanea nelle città di Modena, Bologna e Parma. A questo punto però il Duca scoprì che l’Impero era a conoscenza dell’insurrezione e, spaventato dal possibile intervento austriaco, si tirò fuori dall’accordo lasciando solo Menotti. Quest’ultimo provò ad anticipare la rivolta, ma la sera del 3 febbraio la sua abitazione venne circondata e tutti i ribelli furono arrestati. Il giorno seguente il Duca, informato dell’avvicinarsi degli insorti bolognesi, si rifugiò a Mantova portando con sé il prigioniero Menotti, mentre a Modena si instaurava un governo provvisorio. Grazie all’aiuto delle truppe austriache Francesco rientrò nella capitale dopo trentuno giorni. Seguì il processo che condannò alla pena capitale per alto tradimento Menotti e il notaio Vincenzo Borelli, insieme ad altri 27 imputati contumaci. Anche in questa occasione Francesco non mostrò nessuna pietà firmando le due sentenze di morte dei ribelli che salirono al patibolo il 26 maggio 1831, sui bastioni della Cittadella.
Gli ultimi anni
Gli anni successivi trascorsero relativamente tranquilli, durante i quali il Duca si impegnò a fondo nel rinnovamento e nel miglioramento della città.
Nel 1840, nella Villa del Catajo, morì la Duchessa Maria Beatrice di Savoia, mentre l’anno successivo si celebrò il matrimonio del figlio e futuro Duca Francesco V con Adelgonda di Baviera.
Poco tempo prima della sua morte, nel novembre del 1844, il Duca aveva stipulato con Parma e la Toscana il Trattato di Firenze in cui si ridefinivano i confini tra i tre Stati. Francesco IV ottenne da Parma il Ducato di Guastalla e alcuni territori sulla destra del fiume Enza, in cambio dei territori sulla sinistra del fiume e di quelli toscani della Lunigiana, mentre alla Toscana furono ceduti i Vicariati di Barga e Pietrasanta. Inoltre, per una migliore definizione del confine territoriale tra i Ducati di Parma e Modena, i due Stati scambiarono alcune fasce di territorio lungo il fiume Enza, che diventerà il confine tra i ducati.
Dopo una dolorosa degenza, Francesco si spense il 21 gennaio 1846 nel Palazzo Ducale di Modena e a seguito di solenni funerali fu sepolto nella Chiesa di San Vincenzo.
Cultura e rinnovazione urbana
La ferrea volontà conservatrice di Francesco IV, la politica di controllo e repressione delle idee liberali, furono le protagoniste del suo lungo governo, ma non per questo egli si dimostrò insensibile alla cultura, che però teneva lontana dalla politica. Il Duca si prodigò per recuperare alcune opere che erano state requisite dalla Francia, portò a Modena una serie di dipinti appartenenti alla collezione di Tommaso degli Obizzi conservati nella Villa del Catajo, lasciata in eredità agli Este nel 1802, ed inoltre acquistò dipinti per la Galleria Ducale. Un suo grande vanto fu la conclusione, nel 1843, di una trattativa per riappropriarsi di una delle opere più prestigiose, e oggi simbolo della Galleria Estense, il “Ritratto di Francesco I” eseguito da Velasquez. Istituì il Museo Numismatico, dotò l’Università di gabinetti, di una biblioteca scientifica e di un osservatorio astronomico.
Francesco IV si prodigò nelle opere caritatevoli supportando finanziariamente l’Istituto di San Filippo Neri e, nel 1816, alla riapertura della chiesa di San Paolo, per volontà del Duca e con la protezione della duchessa Maria Beatrice di Savoia, fu insediato nel monastero un educandato per le ragazze povere.
Datata 1815 è l’istituzione, sia a Modena che a Reggio, della Casa di Lavoro dove persone indigenti, o comunque non occupate, circa mille al giorno, si recavano per lavorare la canapa in cambio di un esiguo compenso, oltre al quale era previsto il pranzo gratuito per tutti. Nella visione accentratrice e conservatrice di Francesco IV l’impiego di disoccupati, a cui dava l’opportunità di auto sostenersi, gli assicurava un ampio consenso popolare. Ad esempio, nell’inverno del 1816, furono chiamati uomini dalle aree montane più disagiate per scavare una darsena lungo il Naviglio e anche alle loro mogli furono affidati lavori di filatura della canapa.
Dopo la parentesi napoleonica, le chiese e i conventi furono riaperti, anche se in un numero minore rispetto a prima, e spesso ne fu cambiata la destinazione d’uso, come avvenne nel 1830 per l’antichissimo monastero di Sant’Eufemia in cui Francesco IV insediò la caserma e le scuderie dei Dragoni Estensi, l’Economato militare e le carceri; i lavori di rinnovamento del complesso furono seguiti dall’ingegnere Santo Cavani. Nel 1835 fondò la Scuola militare per i cadetti aperta a tutti. Su impulso di Francesco IV si avviò la ricostruzione del Foro Boario ad opera dell’architetto Vandelli, per ospitare al piano inferiore, completamente porticato e passante, il mercato dei bovini, e al piano superiore i granai e i magazzini per le derrate alimentari. L’intento era quello di risanare la zona delle macellerie del centro cittadino e di far fronte a carestie e penuria di viveri. Dato lo scarso utilizzo del luogo, nel 1854 venne riconvertito in caserma.
Il Duca partecipò alla costruzione nel Nuovo Teatro Comunale che fu edificato in Corso Canalgrande, proprio di fronte alla casa di Ciro Menotti, in sostituzione del vecchio teatro seicentesco posto sulla via Emilia. Il progetto fu affidato all’architetto Vandelli, il quale propose un edificio in stile neoclassico che fu inaugurato il 3 ottobre 1841 con l’opera Adelaide di Borgogna al Castello di Canossa (musica di Alessandro Gandini, libretto di Carlo Malmusi). Francesco IV sovvenzionò il palco reale e fornì marmi provenienti dalla villa di Tivoli. In facciata un’epigrafe riporta “per dignità del municipio e con l’auspicio del duca Francesco IV”.
BIBLIOGRAFIA:
“Gli Estensi. Mille anni di storia” Luciano Chiappini, Ferrara, Corbo Editori, 2001
“Gli Estensi. La corte di Modena” a cura di Mauro Bini, Il Bulino edizioni d’arte
“Modena Capitale” Luigi Amorth, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Poligrafico Artioli SpA, 1997
Treccani Dizionario Bibliografico degli Italiani