La vita
Francesco Geminiano d’Austria-Este nasce a Modena il 1° luglio 1819 dal Duca Francesco IV e dalla moglie Maria Beatrice di Savoia. Nel duro clima della Restaurazione il giovane ricevette un’educazione basata sui rigidi principi della fede religiosa e sulle idee conservatrici del padre, che lo portò a credere fermamente nell’autorità divina del sovrano.
Il 30 marzo 1830 sposò la principessa Adelgonda di Baviera, figlia del Re Luigi I. Le nozze si svolsero a Monaco e gli sposi entrarono a Modena il 16 aprile, accolti con calore dalla popolazione. In onore della nuova coppia e alla presenza del Re di Baviera e di tutta la corte, il giorno seguente fu messa in scena l’opera lirica “Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti.
Francesco era assolutamente convinto di riconoscere come propria patria sia l’Austria che l’Italia tanto che nel 1840-41 scrisse il “Piano di una confederazione austro-italica” nella quale ipotizzava un’unione di alcuni degli Stati italiani posti sotto il protettorato austrico. L’anno seguente assunse il titolo di comandante generale delle truppe estensi.
Diventare Duca: il Trattato di Firenze e la lega doganale
A seguito della morte del padre, avvenuta il 21 gennaio 1846, Francesco V divenne Duca e fu immediatamente coinvolto in avvenimenti di grande rilevanza per lo Stato, in un momento in cui gli stati italiani si preparavano alla nuova ondata dei moti rivoluzionari del 1848.
Nell’ottobre del 1847 il Duca di Lucca, Carlo Lodovico di Borbone, per prepararsi alla successione su Parma e a causa dei disordini scoppiati nel suo territorio in seguito ai moti liberali, abdicò in favore del Granducato di Toscana. Tale rinuncia fece scattare una clausola prevista nel Trattato di Firenze del 1844, concluso tra il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e Reggio e il Ducato di Parma e Piacenza, il quale sanciva anche alcune rettifiche per razionalizzare i confini tra gli Stati nell’area della Lunigiana e della Garfagnana lucchese.
In virtù del suddetto accordo, Francesco V poté annunciare la presa di possesso dei territori della Lunigiana. La popolazione lunigianese chiese al Granduca Leopoldo di rimanere sotto al suo governo e questi, mosso dalla volontà di non inasprire i malcontenti della popolazione, si rivolse al Duca per chiedere la sospensione formale del trattato. Francesco V si mostrò risoluto e non rinunciò a quanto era stato concordato, dando dimostrazione della sua forza inviando le truppe estensi a occupare i territori di Gallicano, Minucciano, Montignoso ed infine Fivizzano, i quali non si opposero. Le rimostranze della Toscana si fecero invece più sostenute ma lentamente le acque si calmarono e gli Este, ormai in possesso dei territori, richiamarono le truppe ducali.
In questo periodo ricco di tensioni e di fermenti liberali, in cui il sostegno dell’Austria era fondamentale per il Duca, si deve inquadrare l’accordo proposto da Francesco V e stipulato nel dicembre 1847, che prevedeva il soggiorno ed il mantenimento delle truppe imperiali nei territori del Ducato. L’Austria avrebbe dovuto rimborsare trimestralmente le spese sostenute a tale scopo da Modena, ma l’entità di queste somme e la lentezza dei pagamenti che furono dilazionati nel tempo, fecero ben presto chiedere di ridurre le truppe stanziate sul territorio, fino a giungere nel 1855 al loro completo ritiro.
Nell’agosto del 1849 si conclusero le trattative per la libera navigazione del Po e per l’acquisto del territorio di Rolo, dietro rinuncia dei diritti che spettavano al Ducato nel tratto tra Brescello e Gualtieri.
L’altra importante questione con cui Francesco V si dovette misurare fu quella della lega doganale, dove si rese ancora evidente la sua propensione a favore dell’Austria. In un primo momento la richiesta per stringere un’alleanza doganale pervenne dallo Stato Pontificio, dal Regno di Piemonte e dal Granducato di Toscana, uniti nella volontà di attuare uno scambio proficuo e un migliore transito tra gli Stati. Tale coalizione però avrebbe potuto avere come riflesso un avvicinamento politico tra gli stati. che il Duca invece disapprovava, fermamente contrario a qualsiasi apertura liberale che potesse limitare la propria autorità. Cessata la trattativa con gli stati italiani, Francesco V intavolò una laboriosa contrattazione con l’Austria, che si concluse nel 1852 con un primo trattato doganale della durata di tre anni, sottoscritto da Austria, Modena e Parma. Il patto non avvantaggiò i due piccoli Stati, tanto che Parma ne uscì dopo la scadenza, mentre il Ducato strinse un nuovo accordo nel 1857 che gli permise di conservare la propria indipendenza amministrativa e la possibilità di stringere accordi con altri Stati.
La Prima Guerra d’Indipendenza 1848
Ancora una volta si sollevarono in Italia i venti del cambiamento che spinsero la popolazione ad insorgere nei confronti dei sovrani e a pretendere leggi democratiche. Il primo a sollevarsi fu il Regno delle due Sicilie, nel gennaio del 1848, obbligando il Re a concedere la costituzione, mentre a marzo l’insurrezione contro gli austriaci infiammò Milano e le idee liberali scaldarono anche Modena, dove avvennero piccoli tumulti che preoccuparono il Duca. Il 19 marzo molti giovani si erano riuniti tra Porta Bologna e il Baluardo di San Pietro per una manifestazione che prese il nome di “Rivoluzione delle Giunchiglie” dalla coccarda bianca e gialla che portavano all’occhiello, organizzata anche in solidarietà al popolo ungherese. I manifestanti vennero dispersi e la protesta si risolse con qualche tafferuglio ma, la notizia della rivolta di Vienna, scosse profondamente Francesco V il quale ordinò di disporre i cannoni dinanzi al Palazzo Ducale. Nella notte fu stilato un editto che invitava i cittadini alla calma, ma la mattina seguente il popolo scese nuovamente nelle strade mentre una delegazione popolare, capeggiata dall’avvocato Giuseppe Malmusi, avanzò una serie di richieste al Duca tra cui l’allontanamento delle truppe austriache e la concessione della guardia civica. Francesco V non volle né ascoltare né trattare con gli esponenti cittadini e lasciò il peso della contrattazione allo zio Ferdinando il quale, per non scaldare maggiormente gli animi, acconsentì solo all’istituzione di una guardia civica dotata di trecento fucili. La gioia della popolazione dilagò nelle strade mentre da altre città del Ducato giungevano notizie sulle sempre maggiori difficoltà a mantenere l’ordine pubblico. La situazione si aggravò quando un dispaccio da Bologna avvertiva dell’imminente arrivo del battaglione bolognese “Alto Reno” a rinforzo dei rivoltosi. L’instabilità della situazione indusse il Duca a lasciare lo Stato e a nominare un Consiglio di reggenza, emanando un editto in cui prometteva riforme e amnistia. Il 21 marzo la Duchessa e l’arciduca Ferdinando lasciarono Modena, seguiti dal Duca che lasciò tristemente il Palazzo Ducale travestito, in modo da non farsi riconoscere.
La reggenza istituita a Modena cadde immediatamente e si insediò un governo provvisorio presieduto da Malmusi; stessa cosa accadde a Reggio e, all’inizio di aprile, i due governi si unirono nel “Governo Provvisorio delle due Provincie di Modena e Reggio” il quale emanò una serie di provvedimenti ispirati alle idee democratiche rivolti al benessere dei cittadini. Il Municipio raccolse le firme di coloro che desiderassero l’annessione al Piemonte e il formarsi di un regno costituzionale nell’alta Italia; una delegazione portò il responso favorevole al Re Carlo Alberto e gli offrirono i territori di Modena, Reggio, Guastalla e del Frignano. Pochi giorni dopo (24 giugno 1848) il Re inviò a Modena un Commissario Regio, il senatore Lodovico Sauli, e il Municipio sciolse il governo provvisorio. Si registrarono ancora dei malumori tra la popolazione, visto che l’annessione e i nuovi provvedimenti non erano accettati da tutti.
Dopo le importanti vittorie riportate dai piemontesi e dagli alleati, le sorti della campagna cambiarono drasticamente direzione a seguito della sconfitta di Custoza (27 luglio), e si conclusero con l’armistizio di Salasco (9 agosto 1848), grazie al quale Francesco V poté tornare nel suo Stato. Il Duca riprese a governare secondo la sua visione paternalistica e assolutistica di un potere creduto di origine divina ma, nonostante tale convinzione, si confermò magnanimo e al suo ritorno non impiegò repressioni violente né condanne a morte.
Da menzionare l’attentato che coinvolse il Duca nel novembre 1849 quando si trovava nei pressi di Medolla, di ritorno da un soggiorno nel casino ducale di San Felice sul Panaro. Francesco V, sceso dalla carrozza, si incamminò a piedi distanziando il suo seguito. Ne approfittò il giovane mazziniano Luigi Rizzatti che gli sparò, intendendo con ciò vendicare la morte e la prigionia di tanti patrioti modenesi. Il Duca uscì illeso dall’attentato perché l’arma si inceppò e benché l’azione commessa dal giovane fosse gravissima, durante il processo Francesco non pretese la massima pena e l’attentatore fu condannato a dieci anni di carcere. Nel luogo dove accadde questo episodio il Duca fece costruire, tra il 1856 e il 1859, un piccolo oratorio come ringraziamento per essere scampato all’attentato. Non fu mai completato, né consacrato, tanto che, dopo l’Unità d’Italia, fu utilizzato come casa cantoniera.
La Seconda Guerra d’Indipendenza 1859
Dalla pace di Milano, 6 agosto 1849, al 1859 la situazione politica del Ducato rimase cristallizzata nella posizione di sudditanza verso l’Impero Austriaco. In questi anni Francesco V approvò una serie di nuove riforme legislative come quella sugli espropri di terreni e fabbricati per pubblica utilità (1848), ammodernò il codice civile e quello di procedura civile (in vigore dal 1852), il codice penale e quello di procedura penale (in vigore dal 1856). Francesco si impegnò nel rinnovamento dell’Università: è datato 1851 l’accordo con lo Stato Pontificio attraverso cui la sede vescovile di Modena fu elevata ad arcivescovile e l’istituzione della “Provincia Ecclesiastica Atestina” non fu più sottoposta ma venne affiancata a quella bolognese. L’Università, le scuole, la stampa e le arti erano regolamentate da rigide norme e sottoposte a severe verifiche che portarono alla censura su argomenti politici, filosofici, religiosi e morali. Nel 1851 venne introdotto il telegrafo e l’anno successivo furono emessi i primi francobolli del Ducato, su cui era impressa l’aquila estense. Pochi anni dopo iniziarono i lavori per la costruzione della “strada ferrata” che avrebbe collegato Modena a Reggio, il tratto fu inaugurato il 23 maggio 1859 con il primo viaggio del treno. Nel luglio del 1857 Modena ricevette la visita del Pontefice Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, il quale, durante i tre giorni di soggiorno, ebbe numerose occasioni di conoscere la città, visitare i conventi e i collegi, benedire la folla e officiare la messa nel Duomo.
La situazione precipitò nel 1859 quando i tempi per l’unificazione nazionale erano ormai maturi. Allo scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza contro l’Austria, Francesco V fu l’unico principe italiano a dichiarare apertamente la propria fedeltà a Vienna, a conferma della sua devozione all’Impero. Se inizialmente cercò di tenere la popolazione all’oscuro dei fatti e delle vittorie franco-piemontesi ostentando sicurezza e tranquillità, non poté più nascondere la gravità della situazione quando, dopo la sconfitta di Magenta, l’Impero richiamò le sue truppe lasciando il Duca nell’impossibilità di resistere da solo con il proprio esercito. Ancora una volta, ma questa fu davvero l’ultima volta, gli Este abbandonarono il proprio Stato: era la mattina dell’11 giugno 1859 quando Francesco V lasciò per sempre i territori appartenuti alla Casa d’Este per quasi ottocento anni. Proclamò una reggenza e prima di partire fece leggere sulla piazza d’Armi un ordine del giorno a chiarimento del suo comportamento e poi, lasciata Modena, raggiunse prima Carpi e poi Mantova. Fu seguito dalla fedelissima “Brigata Estense” che volontariamente non abbandonò il Duca durante i successivi quattro anni d’esilio, per poi essere sciolta nel 1863 a Cartigliano Veneto dove, il 24 settembre, si tenne una solenne cerimonia e tutti gli uomini furono insigniti di una medaglia che recava la scritta “Fidelitati et constantiae in adversis” (Fedeltà e coerenza nelle avversità). Dopo la consegna ufficiale delle bandiere, e dietro richiesta di Francesco V, molti ufficiali e militari presero servizio nell’esercito austriaco. Sciolte le milizie, l’ultimo Duca estense si ritirò presso il palazzo della Landstrasse a Vienna e poi, nel 1863, acquistò il castello di Wildenward in Baviera dove, insieme alla moglie, risiedette abitualmente.
A seguito della Terza Guerra d’Indipendenza, l’Imperatore d’Austria, con il Trattato di Vienna del 3 ottobre 1866, riconobbe ufficialmente Vittorio Emanuele come Re d’Italia, e ciò mise fine alle svariate richieste per il riconoscimento dei diritti dei sovrani spodestati comprese quelle avanzate in più occasioni da Francesco V.
Durante la fuga, il Duca aveva portato con sé preziose opere d’arte che riteneva appartenessero alla famiglia d’Este e non allo Stato. A questo il nuovo governo rispose sequestrando i beni allodiali ducali, e tali vicende provocarono aspre polemiche che proseguirono in tribunale. Dopo vari incontri le parti risolsero la controversia con la firma di un accordo in cui Francesco restituiva le opere mobili a condizione che venissero custodite dai rappresentanti della città di Modena e assumessero la denominazione di “Estense”, tenendo per sé tre inestimabili codici miniati, la Bibbia di Borso d’Este, l’Offiziolo Alfonsino e il Breviario di Ercole I.
Francesco fu un grande amante dei viaggi e durante gli anni d’esilio in Austria ebbe ancora l’occasione di visitare luoghi lontani come la Terrasanta e l’Oriente. Dopo una breve malattia morì senza eredi il 20 novembre 1875 a Vienna, all’età di 56 anni. Seppur in mancanza di prole, Francesco V nominò suo erede universale l’arciduca Francesco Ferdinando, figlio primogenito dell’arciduca Carlo Ludovico d’Austria e dell’arciduchessa Maria Annunziata di Borbone, principessa delle Due Sicilie. L’erede designato doveva accettare diverse condizioni e la mancata osservanza anche solo di una di esse avrebbe portato alla decadenza dal diritto e dall’uso dell’eredità. Tra le prescrizioni erano doveva assumere il cognome d’Austria-Este per sé e per i propri eredi, inserire l’arma degli Este nel proprio stemma, imparare a parlare e a scrivere correttamente in italiano e, inoltre, si faceva divieto di sposare una principessa non cattolica. La sorte però aveva ancora in serbo delle sorprese, perché Francesco Ferdinando fu assassinato il 26 giugno 1914 a Sarajevo, un omicidio che fu descritto dai manuali di storia come la scintilla che dette l’avvio alla Prima Guerra Mondiale. L’eredità estense passò quindi all’arciduca Carlo Francesco (nipote dell’assassinato Francesco Ferdinando) che sposerà nel 1911 la principessa Zita di Borbone-Parma ma, ancora una volta, il destino aveva pianificato un’altra storia. Infatti, essendo Carlo Francesco erede anche al trono d’Austria, in seguito alla sua proclamazione a Imperatore avvenuta il 21 novembre 1916, perse il diritto all’eredità estense, cedendo il cognome e lo stemma degli Este al suo secondogenito Roberto (l’eredità estense non fu ceduta al primogenito Otto perché destinato a succedergli come Imperatore d’Austria). L’arciduca Roberto sposò nel 1953 la principessa Margherita di Savoia-Aosta e il loro figlio primogenito Lorenzo, nato nel 1955, è attualmente in possesso dei titoli estensi. Costui, unito in matrimonio alla principessa belga Astrid, ha una famiglia composta da 5 figli di cui Amedeo, nato nel 1986, è designato quale principe ereditario.
Il Ducato dopo gli Estensi
Dopo l’abbandono del Duca nel 1859 il popolo costrinse la debole reggenza a dimettersi e issò sul Palazzo Ducale di Modena il tricolore italiano. Fu eletta una nuova giunta di cinque componenti la quale riconfermò l’atto di annessione al Piemonte del 1848. Giunse a Modena l’avvocato Luigi Zini, esule dal 1848, il quale fu nominato “Commissario provvisorio straordinario”. Con grande tripudio di folla il 19 giugno giunse in città il rappresentante del governo piemontese, Luigi Carlo Farini, il quale condusse il definitivo passaggio di annessione al Regno d’Italia. Le vicende però non erano ancora concluse, infatti la firma dell’armistizio di Villafranca, avvenuta l’11 luglio 1859, dava l’opportunità ai sovrani spodestati di rientrare nei loro domini senza l’aiuto di armi straniere, mentre i commissari regi si sarebbero pacificamente ritirati. La situazione di incertezza mise in subbuglio la città ma Francesco V non impartì ordini alla Brigata Estense e non si mosse dal suo esilio; allo stesso modo Farini fece un passo indietro lasciando la carica di commissario regio il 27 luglio, continuando però l’intensa attività legislativa sia in campo economico che sociale. Il 14 e 15 agosto i cittadini elessero l’Assemblea Costituente, istituita già dal 16 agosto; quattro giorni dopo l’Assemblea decretò la decadenza di Francesco V e rinnovò l’unione del territorio al Regno Sardo. Anche se la volontà della popolazione di consegnarsi a Vittorio Emanuele era esplicita, il Re, vincolato da un trattato, non poteva accogliere tale richiesta mentre le potenze europee erano favorevoli ad una nuova restaurazione. Seguendo una linea più moderata Parma, Piacenza e poi la Romagna si affidarono a Luigi Carlo Farini che riuscì a conseguire un unico governo nei territori dell’Emilia e della Romagna. Il 1860 portò un mutamento nell’orientamento politico europeo grazie alla posizione di Francia e Inghilterra favorevoli alle annessioni, e con questa premessa l’11 marzo iniziarono le votazioni elettorali nella provincia modenese in cui i cittadini furono chiamati a scegliere tra “Unione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II” e “Regno separato”, la maggioranza votò per l’annessione al Piemonte. A Torino, il 18 marzo 1860, Farini consegnò il risultato delle votazioni nelle mani del Re, il quale firmò lo stesso giorno il decreto di annessione dei territori che entravano a far parte dello Stato Sardo. Il 4 maggio il Re, insieme a Cavour e Farini, visitò Modena e durante i due giorni di soggiorno si affacciò al balcone dell’ex Palazzo Ducale accolto calorosamente dai cittadini.
BIBLIOGRAFIA:
“Gli Estensi. Mille anni di storia” Luciano Chiappini, Ferrara, Corbo Editori, 2001
“Gli Estensi. La corte di Modena” a cura di Mauro Bini, Il Bulino edizioni d’arte
“Modena Capitale” Luigi Amorth, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Poligrafico Artioli SpA, 1997
Treccani Dizionario Bibliografico degli Italiani
“Il quinto Francesco”: il dramma di un sovrano costretto all’esilio, la tragedia di una famiglia travolta dalla guerra”, articolo su “Prima Pagina” 4 gennaio 2015
“La duchessa dimenticata: Adelgonda di Baviera nel centenario della morte”, articolo su “Prima Pagina” 23 marzo 2014