Benché fosse il figlio illegittimo di Niccolò III, Leonello riuscì a meritare la fiducia del padre, dal quale ereditò la guida del Marchesato di Ferrara nel 1441, riuscendo nei pochi anni del suo governo a gettare le basi della fioritura del Rinascimento artistico ferrarese.
A Leonello va riconosciuto un grande impegno politico e culturale a favore della propria città e di tutto il territorio governato dagli Este, alla cui base fu determinante la sua tenace volontà di perseguire la pace.
Dall’ospedale Sant’Anna, il primo realizzato a Ferrara, alla riapertura dell’Università, passando per le fortificazioni e le bonifiche in diverse aree, questi sono solo alcuni dei risultati virtuosi del suo buon governo, durato purtroppo soltanto dieci anni a causa di una morte prematura a soli 43 anni.
Oltre che dalla cultura letteraria, di cui si ricorda la sua grande e apprezzata capacità oratoria, Leonello era attratto dalle arti in generale, un interesse che divenne una delle sue grandi passioni circondandosi di opere e artisti come Pisanello e Jacopo Bellini, ma anche Andrea Mantegna, che scoprì giovanissimo.
La vita
Leonello nacque a Ferrara il 21 settembre 1407 da Niccolò III d’Este e Stella dei Tolomei dell’Assassino. Nonostante fosse un figlio illegittimo, fu cresciuto alla corte seguendo l’educazione nobiliare che includeva, oltre allo studio delle lettere, la pratica militare: per questo fu inviato a prestare servizio sotto Braccio da Montone, un valente capitano militare, tornando a Ferrara solo a seguito della sua morte, avvenuta circa due anni dopo. Rientrato in città, assistette nel maggio del 1425 alla morte del fratello maggiore Ugo (1405-1425) il quale, per volere del padre venne decapitato per il tradimento con la sua matrigna, Parisina Malatesta, anche lei giustiziata. Questa esecuzione scosse il giovane principe che però venne ben presto rincuorato dalle nuove premure del padre che, morto il primogenito e avviato Meliaduse alla carriera ecclesiastica, vide in Leonello il più probabile successore alla signoria.
Dopo l’educazione militare intraprese lo studio delle lettere e nel dicembre del 1429 uno tra i più nobili umanisti del tempo, Guarino da Verona, si stabilì a Ferrara, diventando il precettore del giovane Leonello. L’istruzione che impartì al principe fu assai vasta e comprendeva la grammatica, la retorica, il latino e il greco. Oltre allo studio e alle letture, il maestro elencava tra i precetti da seguire anche lunghe passeggiate in campagna, la caccia, il nuoto e il gioco della palla: tutte attività da svolgere per trovare il giusto equilibrio tra l’intelletto e il corpo. La dura educazione portò comunque risultati tangibili: nel settembre del 1433 l’Imperatore Sigismondo di passaggio a Ferrara fu accolto da un’orazione latina recitata da Leonello: Niccolò III volle così mostrare la padronanza della lingua e la cultura del figlio. Un altro discorso in latino fu recitato, cinque anni più tardi, per il ricevimento del Pontefice Eugenio IV, in occasione del Concilio. L’educazione di Leonello durò circa cinque anni, concludendosi con il suo matrimonio (1435), ma i rapporti amichevoli e di stima con il Guarino durarono tutta la vita.
Sempre nel 1429, il padre decise di saldare il legame con la corte di Mantova, firmando la promessa di matrimonio tra il figlio e Margherita Gonzaga. Il padre di lei, però, a titolo di garanzia, volle che Leonello fosse legittimato e dichiarato futuro successore alla guida del Marchesato. Il matrimonio venne quindi celebrato nel febbraio del 1435, ma durò solo pochi anni: Margherita morì nel 1439 per malattia, lasciando orfano il gracile Nicolò nato l’anno precedente. I matrimoni del tempo, benché sottendessero sempre una convenienza politica, in alcuni casi furono anche felici e rinforzati da sentimenti di stima e affetto tra i coniugi. Questo fu il caso del primo matrimonio di Leonello (e anche del secondo, come si vedrà) che adottò diverse insegne per commemorare la scomparsa della moglie: ad esempio, il simbolo della margherita come chiara allusione al suo nome (di cui troviamo tracce scritte, ma non è giunta fino a noi nessuna prova iconografica), oppure uno scudo con le lance spezzate o con frecce rotte (immagini queste probabilmente concepite da Guarino).
Il 26 dicembre 1441, durante una visita a Milano, morì improvvisamente Niccolò III, dopo aver già disposto nel testamento la sua successione, nella quale indicava suo erede Leonello, che poté salire tranquillamente al potere il 28 dicembre 1441. Il principe incontrò solo la resistenza della vedova di Niccolò, Ricciarda di Saluzzo, che rivendicava per i propri figli legittimi la possibilità di salire al potere: non incontrando però alleanze favorevoli l’anno successivo abbandonò Ferrara. Il fratello minore Borso, invece, garantì a Leonello il suo sostegno durante la successione e fu incaricato di recarsi a Modena e Reggio a far prestare ai sudditi giuramento di fedeltà al nuovo Marchese. Ben presto Borso diventò il braccio destro di Leonello, entrando a far parte di quella stretta cerchia di collaboratori che costituirono una sorta di governo collegiale. Infatti, contrariamente alla consuetudine del tempo, Leonello si mise vicino figure che seppero amministrare, consigliare e coesistere, tra cui Uguccione Contrari, già fedele collaboratore del padre, Feltrino Boiardo, Giovanni Gualengo e Alberto Pio di Carpi. La politica di Leonello si mosse quindi nella continuità con Niccolò III, cercando sempre di adottare una linea politica che non scoprisse il fianco alle mire espansionistiche di Milano e Venezia. La ricerca della pace, di fatto, fu il principale obiettivo del governo di Leonello, che proprio per questo fu in grado di garantire un periodo di tranquillità che favorì la prosperità economica e intellettuale dei suoi territori.
La politica
Le mire espansionistiche di Milano e di Venezia, tuttavia, misero spesso in stato di agitazione Leonello, il quale per proteggere i propri territori trovò la soluzione in una possibile alleanza con Napoli. Tra il 1444 e il 1445 Borso fu impegnato in incontri diplomatici alla corte del Re di Napoli Alfonso V d’Aragona, per sollecitare e stringere un’intesa tra Napoli e Ferrara presentando al Re l’opportunità di impadronirsi del Ducato di Milano, dato che Filippo Maria Visconti non aveva lasciato eredi maschi ed era indebolito da problemi di salute. A sancire questa insolita coalizione fu, come sempre accadeva, celebrato un matrimonio: nel 1444 Leonello sposò in seconde nozze Maria d’Aragona, figlia naturale del Re di Napoli. Per quest’occasione Pisanello forgiò una medaglia con l’effigie di Leonello (l’ultima delle sei medaglie a lui dedicate dall’artista), sul cui verso era rappresentato un leone ammansito da Amore, che gli mostra uno spartito musicale, con un’aquila sullo sfondo. Sfortunatamente anche questa unione matrimoniale non fu destinata a durare, infatti Maria morì nel 1449.
I disegni politici e le alleanze cambiarono velocemente e Re Alfonso, detto il Magnanimo, utilizzò questa nuova unione per stipulare un’ulteriore alleanza con i Visconti e lo Stato Pontificio, in modo da ostacolare la salita al potere di Francesco Sforza. Fu proprio lo scontro in terre di Romagna tra quest’ultimo e Sigismondo Malatesta che riaprì la guerra nel 1445. L’avvicinarsi di un conflitto sui suoi territori, convinse Leonello ad assumere un atteggiamento più cauto e a prendere le distanze da tutte quelle forze troppo potenti rispetto al proprio Stato, portandolo, ancora una volta, a confrontarsi con la vicina corte di Mantova. In un momento così delicato Leonello intraprese varie missioni diplomatiche, riuscendo a conciliare le parti e dimostrandosi un valido mediatore. La situazione, in procinto di risolversi, precipitò però alla morte di Filippo Maria Visconti nell’agosto del 1447: Leonello cercò di prendere possesso di alcuni territori, ma, ottenuta Scrivia e l’offerta di Pavia, si rese ben presto conto della potenza di Ludovico Sforza e accettò di buon grado di diventarne un alleato al fianco di Venezia. A sancire l’accordo fu celebrato il matrimonio tra suo figlio Niccolò d’Este e Ippolita, figlia naturale dello Sforza. Prima del definitivo insediamento di Ludovico Sforza nel 1450, Leonello rifiutò la possibilità di impadronirsi di Parma e Piacenza, anche dietro consiglio della Serenissima preoccupata dalla possibilità di ulteriori tensioni e di altre guerre. Leonello tornò quindi ad una politica meno dinamica e si spese negli accordi veneto-napoletani.
Nel 1447 venne terminata la scultura equestre che il Consiglio dei Savi di Ferrara (e Leonello) volle erigere in onore di Niccolò III e che troverà posto nel 1451 di fianco al Volto del Cavallo (quella che oggi si può ammirare su piazza Municipio, è una copia di inizio Novecento, in quanto l’originale fu distrutto dai Giacobini durante la rivoluzione francese). Per la realizzazione della statua fu indetto un concorso a cui si presentarono due scultori fiorentini: Leon Battista Alberti fu chiamato a giudicare il migliore, ma siccome nemmeno il Consiglio seppe decretare il vincitore, fu sancito che Antonio di Cristoforo realizzasse la statua di Niccolò III e Niccolò di Giovanni il cavallo. Da segnalare che questa fu la prima statua equestre eseguita dopo quella di Teodorico a Ravenna.
Leonello morì a soli 43 anni, il 10 ottobre 1450 nel palazzo di Belriguardo, a causa di un ascesso alla testa non curato.
Proprio durante l’ultimo anno della sua vita entrò nelle collezioni di Leonello un oggetto di straordinaria bellezza: il cosiddetto “Reliquiario di Montalto”, proveniente dalle collezioni reali francesi e ora ai Musei Sistini del Piceno, al Museo Vescovile di Montalto. Il prezioso reliquiario in oro e argento, decorato con smalti en ronde-bosse, pietre preziose e un antico cammeo, fu eseguito in Francia probabilmente a Parigi alla fine del XIV secolo. Sulla sua superficie viene narrato il ciclo iconografico della Passione: al centro, una croce realizzata con pietre colorate e perle, fa da sfondo ad un angelo con grandi ali spiegate, bianche e blu, che sostiene il Cristo morto. Ai lati, in due spazi circolari, si trovano raffigurate la Flagellazione e la Crocifissione, mentre in alto è rappresentato Dio Padre circondato da angeli e, in basso, la Deposizione nel sarcofago.
Le attività in favore del Marchesato
Leonello, nei suoi 10 anni di governo, si impegnò con grande energia nel miglioramento delle condizioni del suo popolo, sia dal punto di vista strettamente legato alla politica e all’economia, sia da quello più elevato della cultura. Le opere portate avanti da Leonello sono infatti tese a conseguire come Principe la gloria e il buon governo attraverso la cultura, la protezione accordata a dotti e artisti, la clemenza e la comprensione verso i sudditi.
Nell’architettura seppe conciliare l’ideale di bellezza con l’utilità di costruire e migliorare edifici già presenti con funzione di difesa. Dal 1445 al 1449 munì Lugo di una Rocca, fortificò la torre di Bagnacavallo, costruì le mura della città di Rubiera e concluse la costruzione della Rocca di Finale, opera iniziata dal padre. Alcuni tra i più bei palazzi come Belriguardo, Migliarino e Copparo furono ampliati e arricchiti.
Nel 1444, in accordo con il vescovo di Ferrara, il beato Giovanni Tavelli da Tossignano, Leonello si impegnò nella costruzione del primo ospedale della città, il Sant’Anna, in favore dei meno abbienti: un antico convento agostiniano vicino al Castello Estense, fondato all’inizio del 1300 dai francescani, fu risistemato per opera dell’architetto Pietrobono Brasavola e già nel 1445 ospitò i primi bisognosi.
Leonello si impegnò anche nella costruzione di argini per evitare le esondazioni del fiume, così come nella bonifica di zone paludose altrimenti non coltivabili. Queste opere furono intraprese a favore dei contadini, per i quali vennero anche introdotti sgravi fiscali per proteggere l’attività agricola ed incentivare la coltivazione dei nuovi spazi fertili. Inoltre, Leonello sostenne l’attività di pulizia della città, compresa quella delle strade, dei pozzi e delle cisterne pubbliche.
Leonello, attraverso una politica liberale e illuminata, diede nuovo impulso anche ai traffici commerciali, appoggiando le comunità ebraiche e i commercianti veneziani. Anche le industrie furono incentivate mediante l’esenzione di imposte e l’acquisizione di privilegi per alcune categorie di cui Ferrara necessitava, ad esempio mastri per la lavorazione del piombo, dello stagno e dell’oro, maestri d’armature, lavoratori fiamminghi di arazzi.
Grande impulso ebbe l’arte dell’incisione di monete. A quel tempo le medaglie non erano più battute, ma eseguite per fusione: questa novità portò una facilitazione nella lavorazione che poteva essere svolta anche dai pittori, come per esempio le sei medaglie eseguite per Leonello da Pisanello tra il 1441 e il 1444. Le medaglie, sul recto, portavano il volto del marchese, mentre sul verso una rappresentazione emblematica piena di significati politici e allusivi alle virtù: una rappresentazione della Prudenza (la testa con tre volti idealmente passato, presente, futuro), una della Pace, un’allegoria della Temperanza, una della Imparzialità e, la più grande e forse la più importante, quella eseguita per le seconde nozze di Leonello, di cui abbiamo detto sopra.
Leonello fu anche un attento promotore della cultura: a lui si deve la riapertura dell’Università di Ferrara (probabilmente chiusa dal 1402), di cui incentivò la crescita attraverso l’arrivo di nuovi e autorevoli professori in grado di attrarre studenti anche stranieri, come greci, francesi, tedeschi, inglesi, ungheresi e polacchi. In questi anni e nei seguenti lo Studio di Ferrara divenne uno tra i più fiorenti d’Italia.
Anche la biblioteca estense, la cui formazione si deve a Niccolò III, divenne una tra le prime in Italia per ricchezza e rarità di codici. L’inventario della biblioteca, datato 1436, elenca 279 volumi che spaziano da autori classici a contemporanei come Petrarca e Boccaccio. Leonello vide la biblioteca come uno strumento di cultura e per questo patrocinò numerose acquisizioni e affidò al copista Biagio Bosoni la diffusione dei testi. La sua sensibilità è evidente nelle attente indicazioni che fornisce per la corretta conservazione e fruizione dei libri: ad esempio indica come preservare i volumi dalla polvere e segnala ‘ricette’ per allontanare i parassiti.
Da ricordare l’amicizia che legò tutta la vita Leonello al grande umanista Leon Battista Alberti, che gli dedicò alcune sue opere, arrivando a dichiarare che il trattato De Re Aedificatoria, fu scritto su invito e incoraggiamento proprio del Marchese.
I pittori alla corte di Leonello
Sappiamo che Leonello si circondò di molti pittori e nel suo breve regno gettò le basi della fioritura del Rinascimento artistico ferrarese: questo momento prospero per le arti fu reso possibile dagli anni di pace che Leonello seppe mantenere nei suoi territori.
Antonio di Puccio Pisano noto come Pisanello (1395-1450 ca) è tra i più illustri pittori che gravitano attorno alla corte estense. L’artista giunse a Ferrara per incontrare l’amico Guarino da Verona che lo presentò a Leonello nel 1432. Il Marchese fu immediatamente entusiasta della sua pittura, commissionandogli subito un dipinto della Vergine, da cui cominciò il loro lungo rapporto artistico. Le visite a Ferrara furono frequenti e la condivisione della passione per l’arte antica portò alla realizzazione della nuova immagine del principe, ispirata alle effigi degli antichi imperatori presenti sulle monete romane. Il profilo creato dall’artista caratterizza in maniera peculiare l’immagine di Leonello che si può ancora oggi ammirare sulle sette medaglie ideate da Pisanello tra il 1441 e il 1444. Da questi presupposti deriva il celebre volto del Marchese ritratto di profilo, attualmente conservato all’Accademia di Carrara a Bergamo.
Nella “Visione di Sant’Antonio e San Giorgio” (o “Vergine con il Bambino e Santi”), conservata presso la National Gallery di Londra, la critica ha avvicinato la figura del santo guerriero ad un probabile ritratto di Leonello: è possibile scorgere una certa somiglianza con il committente nel profilo e nella capigliatura.
Jacopo Bellini (1400-1470 ca) arrivò a Ferrara nel 1441, quando Pisanello lavorava già da parecchi mesi al ritratto di Leonello, e anche lui volle cimentarsi su questo soggetto: stando alle cronache dell’epoca, fu decretato il migliore tra i due, ma purtroppo il dipinto non è giunto fino a noi. È comunque possibile ammirare al Musée du Louvre la “Madonna dell’Umiltà”, una piccola tavola devozionale dove Leonello è rappresentato inginocchiato in preghiera davanti alla Vergine e sempre di profilo; da notare l’elegantissimo manto damascato di colore porpora e oro.
Andrea Mantegna (1431-1506) fu uno dei maggiori talenti artistici scoperti da Leonello, quando fu chiamato giovanissimo, nel 1449, a dipingere una tavola che su un lato esponeva il ritratto del Marchese e sull’altro quello del suo favorito Folco di Villafora, ad oggi andata perduta.
Sempre nello stesso anno arrivò a Ferrara il fiammingo Rogier Van der Weyden (1400-1464), dal quale Leonello acquistò un trittico e al quale commissionò altre opere, purtroppo giunte tardivamente nella città estense dopo la sua morte. Di questo autore si ricordi il ritratto del figlio legittimo Francesco d’Este (conservato ora al Metropolitan Museum di New York).
Angelo Maccagnino (notizie dal 1439 al 1456), pittore di origini senesi, dal 1447 fu nominato pittore di corte e il suo nome è legato alla decorazione dello Studiolo di Belfiore, dove dipinge alcune delle Muse. Alla morte di Leonello passò al servizio di Borso.
Lo Studiolo di Belfiore
Leonello ideò uno spazio di studio e di raccoglimento nella Delizia di Belfiore, al quale lavorarono numerosi artisti. Fu lui stesso a concepire la decorazione con il tema delle Muse e, sottoposta l’idea a Guarino da Verona, ne incontrò il favore. Le Muse hanno radici lontane che affondano nella mitologia greca in cui erano divinità nate dall’unione tra Zeus e la Dea della memoria: rappresentavano l’ideale dell’ispirazione artistica e più generalmente delle attività intellettuali, fino a divenire, nel tempo, protettrici di ogni umana sapienza. Lo Studiolo era uno spazio privato del Signore, dove potersi dedicare ad attività intellettuali e luogo per colloqui confidenziali. In uno spazio così denso di virtù, che lo stesso principe era chiamato a impersonare, il tema delle Muse fu particolarmente appropriato. Fu poi Guarino a caratterizzare l’iconografia delle nove Muse protettrici delle arti: nella sua lettera a Leonello, datata 5 novembre 1447, l’umanista indica quante e quali sono le Muse da raffigurare, fornendo per ognuna il ruolo, le caratteristiche e gli attributi iconografici. In questo spazio le Muse hanno queste caratteristiche: Clio è inventrice della storia, Talia dell’agricoltura, Erato si prende cura dei vincoli coniugali, Euterpe creatrice e insegnante dei flauti, Melpomene del canto, Tersicore della danza, Polimnia sovrintende alla coltivazione dei campi, Urania si occupa dell’astronomia e infine Calliope esploratrice delle scienze e sacerdotessa della poetica.
In occasione della riapertura della Pinacoteca Nazionale di Ferrara con la mostra-dossier “Cantieri Paralleli. Lo Studiolo di Belfiore e la Bibbia di Borso 1447-1463” le Gallerie Estensi, Pinacoteca Nazionale di Ferrara in collaborazione con FrameLAB, Dipartimento di Beni Culturali – Alma Mater Studiorum Università di Bologna hanno avviato un progetto di studio e di elaborazione multimediale sullo Studiolo di Belfiore.
Le pitture furono commissionate ad Angelo Maccagnino e, dopo la sua morte, a Cosmè Tura: la critica è concorde nell’identificare anche la mano del pittore ungherese Michele Pannonio anche se non sono stati trovati documenti che lo provino. Oltre al ciclo pittorico dedicato alle Muse, le pareti dello Studiolo erano finite da legni pregiati con pannelli intarsiati da Arduino da Baiso e dai fratelli Cristoforo e Lorenzo da Lendinara, conosciuti come i Canozi, ma nulla è giunto fino a noi. La decorazione dello studiolo iniziò dal gennaio del 1448.
Solo 6 delle 9 Muse sono giunte fino a noi e sono disperse in diverse collezioni europee: in Italia tra la Pinacoteca Nazionale di Ferrara (Erato e Urania) e il Museo Poldi Pezzoli di Milano (Tersicore), al Staatliche Museen Gemäldegalerie di Berlino (Polimnia), alla National Gallery di Londra (Calliope) e a Budapest al Szépművészeti Múzeum (Talia). Nelle collezioni di quest’ultimo museo sono presenti altre due Muse, Melpomene e Euterpe, ma la loro attribuzione a questo ciclo resta ancora oggi poco accreditata.
Qui la ricostruzione digitale dello Studiolo. https://patrimonioculturale.unibo.it/studiolodibelfiore/Studiolo%20di%20Belfiore.html
Alla morte di Leonello, avvenuta nel 1450, la decorazione dello Studiolo venne completata negli anni successivi da Borso che apportò alcuni cambiamenti all’impianto narrativo.
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